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Ho avuto modo di conoscere la scrittura di Milvia Comastri nel lontano 2006 allorché recensii il suo primo libro, Donne, ricette, ritorni e abbandoni, una raccolta di racconti il cui comune denominatore è la preparazione del cibo. Ne apprezzai lo stile fresco e semplice, che non poco contribuiva alla gradevolezza della lettura. Successivamente, nel 2012, è uscita un’altra raccolta di racconti, Colazione con i Modena City Ramblers che è caratterizzata da una varietà di tematiche che ancor di più offre la possibilità di attrarre esigenze diverse, accontentando una più variegata popolazione di lettori. Anche in questo caso ne ho scritto la recensione, evidenziando la sensibilità e delicatezza che accompagna queste prose e fermo restando quelle caratteristiche stilistiche che mi avevano in precedenza colpito. Due opere, due raccolte di racconti, a riprova dell’inclinazione della scrittrice per la narrativa breve (occasionalmente, si diletta anche di poesia) sono pertanto caratteristiche della sua produzione e infatti il terzo libro, da poco pubblicato, è analogo nella realizzazione ai precedenti. Squilibri è una raccolta di racconti (in tutto venticinque) il cui tema dominante é l’instabilità, intesa nella più ampia accezione del termine e quindi ricomprendendovi l’ingiustizia, la sopraffazione, la mancata accettazione di se stessi e la marcata diversità che fa sì che i personaggi si possano configurare come vittime di una società il cui equilibrio comporta anche lo squilibrio di non pochi suoi componenti. Per esempio, è questo il caso del primo racconto (Che cosa hai fatto) in cui una ragazza, vittima anni prima di una violenza del branco, quando un’altra fanciulla viene stuprata dagli stessi individui, si decide di denunciarli. Ma un errato senso del pudore del consesso sociale di cui lei fa parte finirà per usarle una violenza più sottile e più devastante, di fatto emarginandola, comportamento che assumerà anche sua madre. Guai quindi a violare le regole non scritte di una comunità, ad alterare un apparente equilibrio, perché in tal caso si finisce con l’essere messi fuori. Adesso non intendo parlare di altri racconti, altrimenti rischierei di togliere il piacere della scoperta ai lettori, ma preferisco soffermarmi sugli intenti civili dell’opera, presenti anche in passato, ma in modo meno evidente. L’autore ha la capacità di osservare da un punto di visualizzazione elevato e spogliandosi da quei preconcetti che inconsciamente ci portiamo dentro; in questo modo riesce a togliere il velo all’apparenza e a portare alla luce insanabili fratture fra la società e diversi suoi membri, un insieme di individui che hanno la caratteristica di essere involontariamente carnefici ( fa più male della violenza l’indifferenza, o peggio la supina accettazione) anche per non alterare quel fragile equilibrio su cui si basa ogni società. E così la vittima che si ribella diventa due volte vittima, marchiata indelebilmente per colpe che non sono sue e che sono invece i torti subiti. Trattandosi di diversi racconti, per quanto ovvio ci sono quelli che mi sono meno piaciuti e quelli che invece ho particolarmente gradito; tra questi ultimi, oltre al citato Che cosa hai fatto, inserisco anche I miei amati figli sconosciuti, di rara delicatezza. Lo stile è sempre accattivante e se voglio trovare un difetto, che in effetti non è tale, è la tristezza per lo più dominante, ma in fondo, se ci si guarda bene intorno, non ci sono abbastanza motivi per essere allegri. In conclusione, Milvia Comastri riconferma le positive impressioni che già avevo ritratto dalla lettura delle due precedenti raccolte e quindi questo libro è senz’altro consigliato.
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