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Avevo letto la recensione del libro e mi aveva attirata l'originalità dell'argomento. In effetti, partendo dalle statuine, i netsuke, si snoda un racconto interessante e coinvolgente, non solo le vicende di una famiglia ma i contesti storici visti dal punto di vista di chi li ha vissuti, attraverso le memorie narrate e tramandate dalla famiglia. La famiglia è ebrea ma qui anche il dolore è narrato con grande delicatezza, quasi discrezione. Dalla prosa si sente molto come lo stesso narratore, man mano che scopre attraverso la storia dei netsuke la storia della propria famiglia, sia sempre più coinvolto dal desiderio di ricostruire le vicende dei suoi antenati. Mi ha stupito come una persona che non è scrittore di professione abbia saputo scrivere un libro lungo che non ha mai cedimenti, anzi ti spinge a continuare a leggere senza interruzioni...Una bellissima sorpresa, un libro che si ricorda e presto rileggerò!
E' un libro affascinante che ricostruisce il peregrinare per il mondo, in particolare l'Europa, poi fino al Giappone di minuscole sculture giapponesi, i netsuke, che servivano ai samurai per fermare al kimono la scatoletta del tabacco. La loro funzione originaria è poco importante, ciò che è importante è la loro bellezza, vere opere d'arte. Raccontando il loro vagabondaggio l'autore in realtà ricostruisce la storia della sua famiglia. Ricchi ebrei che vivono nel lusso dalla fine dell'800 fino alla seconda guerra mondiale. E' la storia di una famiglia ed è nello stesso tempo la storia dell'Europa e delle terribili distruzioni che il nazismo ha portato con sé. Da leggere come un romanzo, senza dimenticare che queste deliziose opere d'arte hanno visto dolore e sangue e si sono salvate per un caso fortunato.
Chi erano gli Ephrussi? Cosa sono i netsuke? È possibile, dopo anni di ricerche, scrivere in meno di quattrocento pagine sontuose e dettagliate – senza giudizi e sentimentalismi – una vicenda lunga un secolo e mezzo che si svolge in tre continenti? Le risposte si trovano in questo volume prodigioso, opera di non fiction, che ha i tratti del memoir familiare, ed appartiene a molti generi e a nessuno, intrecciando storia, letteratura di viaggio, arte. L’ha scritta Edmund de Waal uno degli ultimi eredi di una dinastia ebraica originaria di Odessa, gli Ephrussi. La voce del narratore cede il passo talvolta a quella del divulgatore – i ferri del mestiere sono quelli dello storico dell’arte – con una cura del dettaglio e del particolare fuori dal comune. Il contesto storico e geografico in cui si muovono gli Ephrussi è quanto di più affascinante abbiano offerto gli ultimi due secoli: la Parigi bohémien di fine Ottocento, quella della Terza Repubblica, la Vienna dei primi del Novecento (quella di Freud e Klimt), prima e dopo lo smembramento dell’impero austro-ungarico, il Giappone post-bellico. Nel paese del Sol Levante, negli anni Novanta, de Waal riceve la collezione di 264 netsuke dal prozio Ignace, detto Iggie: i netsuke sono minuscole sculture settecentesche in legno, avorio o ambra (raffiguranti animali, uomini e oggetti di uso quotidiano), qualcosa in più di un pretesto per ricostruire vite care e lontane, visitando i luoghi, raccogliendo testimonianze, attingendo a riviste e foto d’epoca, epistolari, opere d’arte. Lettura appagante e appassionante.
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