Un mondo fantastico, oscuro, dai tratti cupi e decadenti. Personaggi complessi, mai scontati e dipinti con una sapiente maestria. Situazioni di folle crudeltà, grottesca ironia. Questi gli ingredienti che rendono Gormenghast un libro che vale la pena leggere. Ci vuole la costanza di superare alcune minuziose descrizioni che potrebbero scoraggiare il lettore per approdare in un regno dove la luce scura dà forma a personaggi indimenticabili quali Ferraguzzo, Irma e il dottor Floristrazio. Finalmente un libro dove nulla è totalmente buono o cattivo, nulla è totalmente bello o orripilante.
Gormenghast
Soverchiato dalla cima ad artiglio e dalle giogaie scoscese dell’omonimo monte, il reame di Gormenghast ha il suo centro in un immane agglomerato tirannico con le sembianze di un castello. Qui ogni antica bellezza si è corrotta in cupa fatiscenza: le mura sono sinistre «come banchine di moli», e le costruzioni si tengono tra loro «come carcasse di navi sfasciate». E qui, intorno al piccolo Tito – divenuto il settantasettesimo conte dopo la misteriosa morte di Sepulcrio –, si muovono gli esseri inconcepibili che sono la sostanza stessa di cui è composto il castello: la gigantesca contessa Gertrude, la madre, dalle spalle affollate di uccelli e dallo spumoso strascico di gatti bianchi; l’amata sorella Fucsia dai capelli corvini, che col suo abito cremisi infiamma i corridoi grigi; il fanatico custode delle leggi, Barbacane, nano storpio che raggela il sangue col secco schiocco della sua gruccia; e il gelido Ferraguzzo, che non cessa di ascendere verso il culmine della sua bramosia di potere. Prigioniero di riti decrepiti e di trame che falciano la sua livida Corte, Tito, che pure vorrebbe sfuggire a Gormenghast, dovrà combattere per salvare dal Male il cuore del castello – e trovare se stesso: perché forse un altrove non è nemmeno pensabile, e tutto conduce a Gormenghast.Nel secondo pannello della sua trilogia, Peake raggiunge il nucleo più oscuro di una narrazione che molti hanno paragonato, per vastità di respiro e potenza visionaria, al "Signore degli anelli". In realtà egli va molto oltre, riuscendo a saldare in un travolgente flusso romanzesco il male della storia e il Male metafisico, e a far dono al lettore di una scrittura che fonde lo smalto imprevedibile dei colori alla precisione iperrealistica dei dettagli – quasi la ‘trascrittura’ dell’arte di un pittore fiammingo gettato dal caso nel cuore di un altro mondo, che non abbandonerà più la nostra memoria.
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