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Anno edizione: 1994
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L’ossatura del libro è costituita dalle conversazioni che l’autrice ha avuto nel 1971 con Franz Stangl, comandante di Sobibor e Treblinka, nel carcere tedesco in cui questi era detenuto. Le interviste nascono dall’intenzione dell’autrice di indagare vita e personalità dell’ex-SS e, in ultima analisi, esplorare un ricorrente interrogativo: quanto, in un mostro morale, è determinato dalle caratteristiche individuali e quanto dalle circostanze esterne (nelle ultime pagine la scrittrice giungerà ad ottenere delle risposte, con le quali mi sento personalmente d’accordo). Ma le vicende personali di Stangl diventano anche il pretesto per esaminare alcuni dei più tragici eventi del periodo nazista, dal Programma di Eutanasia e il ruolo da esso avuto come precedessore della “Soluzione Finale”, al funzionamento del T4 di Berlino, per arrivare all’organizzazione dei campi di sterminio in Polonia. Lunghe pagine sono anche dedicate all’atteggiamento del Vaticano, in particolare di Pio XII, durante la guerra, e al ruolo avuto da alcuni prelati nel facilitare la fuga di criminali nazisti nell’immediato dopoguerra. Apparso alcuni anni dopo "La banalità del male" di Hannah Arendt, a mio parere è insieme a questo tra i migliori libri che trattino l’argomento, per ampiezza dei temi, completezza delle prospettive prese in considerazione, valore documentale, lucidità nell’analisi ed equilibrio nelle valutazioni.
Finalmente un libro sull'olocausto che ci fa capire,ma senza giustificare,come gli aguzzini sono potuti arrivare a tollerare prima,appoggiare e poi collaborare allo sterminio degli ebrei.Bellissimo Vinci
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