L'incantesimo della buffa è il nono lavoro di Silvana Grasso. Ho amato fin dalle prime righe la storia che ci propone Silvana. Sin da subito, dalle primissime battute, ti accorgi che stai in Sicilia, dai termini che utilizza, dalle descrizioni, dagli odori che affiorano da questo libro pagina dopo pagina. Ho amato la fusione linguistica tra italiano e siciliano, e grazie ad essa sono riuscita a immedesimarmi perfettamente in ogni personaggio. I temi trattati sono importanti e per nulla leggeri. Sono sicura che non va alla ricerca dei termini perfetti, non cerca le frasi adatte, non teme di sbagliare; scrive e basta, e lo fa molto bene, al punto da emozionare, e questo non può che essere talento.
L' incantesimo della buffa
Nel paesino di Roccazzelle, periferia siciliana dell’impero, anche gli echi della guerra, la seconda mondiale, arrivano quasi appannati, affidati ai volantini lanciati sulla campagna dagli aerei alleati e ai manifesti del Partito Fascista. Sullo sfondo di una comunita` abituata al poco e che sa vivere anche del niente, che guerra o meno continua nelle sue abitudini, nei suoi riti, e nelle sue credenze (come quella dell’incantesimo della buffa, la femmina del rospo, che se la si fissa negli occhi poi non si cresce piu`), si muovono personaggi ai margini e notabili del luogo - dal poetico Agostino, venuto dal mare e in fuga dal proprio passato al pavido podesta` Agnello che infligge alle sue mani lavaggi d’ammoniaca pura - sempre in sbilenco equilibrio tra il dramma e il grottesco. Ma soprattutto il tredicenne Gesu`, figlio di quella terra bruciata dal sole, e la coetanea Tea, di origine austriaca e cieca per una malformazione agli occhi, vivono a Roccazzelle un idillio adolescenziale fatto di salsedine e scogliere, di esclusivita` e dolcezza, nel tentativo di dimenticare il loro essere rimasti orfani di madre, mentre l’ombra della guerra si fa improvvisamente piu` minacciosa fino alla tragedia dei bombardamenti e al conseguente sbarco alleato anglo-americano. Silvana Grasso dipinge un nuovo ritratto espressionista della Sicilia alla meta` del secolo scorso con il tocco irriverente della sintassi e il solfeggio linguistico tipici della sua scrittura, che riescono ancora una volta a miscelare il registro alto - ma sempre rutilante - con il colore e il calore di una lingua parlata e mitica, per una storia in cui anche gli stessi personaggi sembrano cercare una forma ideale per raccontare quello che li circonda o un’ideale evasione psichiatrico-mitologica per non raccontare, per non raccontarsi.
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Lingua:Italiano
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Roberta Failla 06 maggio 2016
L’incantesimo della buffa è il nono lavoro di Silvana Grasso (Macchia di Giarre, Sicilia – 3 giugno 1952) edito da Marsilio Editore nel 2011. Ambientato a Roccazzelle, un paesino della Sicilia, narra le vicende del secondo dopoguerra di Gesù, diventato orfano dopo la morte della madre a causa di un cancro ghiandolare, e di Agostino, un giovanotto fuggito dal seminario e con un rimorso più grande di esso stesso, quello di aver ucciso, se pur indirettamente Giacomino, un bambino del seminario. Ho amato fin dalle prime righe la storia che ci propone Silvana. Sin da subito, dalle primissime battute, ti accorgi che stai in Sicilia, dai termini che utilizza, dalle descrizioni, dagli odori che affiorano da questo libro pagina dopo pagina. Ho amato la fusione linguistica tra italiano e siciliano, e grazie ad essa sono riuscita a immedesimarmi perfettamente in ogni personaggio. I temi trattati sono importanti e per nulla leggeri. Si parla della morte vista in Sicilia, di quanto sia importante qui da noi l’atto di chiudere le palpebre ad un morto. Si tocca il tema dei preti pedofili, di cui ho notato una grossa denuncia nel libro. Si parla dei disagi: quello mentale di Agostino che non riesce a darsi pace per essere scappato dal seminario senza portare con se il piccolo Giacomino, convinto che l’unico modo per pulirsi della sporcizia dell’anima sia il sacrificio corporale; e di quello fisico di Tea, una ragazzina cieca che accompagnerà Gesù per tutta la storia. Quando penso al modo in cui questa autrice scrive mi viene in mente un parto. Sono sicura che non va alla ricerca dei termini perfetti, non cerca le frasi adatte, non teme di sbagliare; scrive e basta, e lo fa molto bene, al punto da emozionare, e questo non può che essere talento.
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