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Potrei cominciare questa recensione scrivendo dell’importanza particolare che questo libro di Ernst Kris e Otto Kurz ha nella storia della critica d’arte:seguendo infatti (sono gli stessi autori a precisarlo nella prefazione)la lezione di Franz Wichoff e Julius von Schlosser da un lato,e dall’altro quella di Aby Warburg e Erwin Panofsky,Kris e Kurz sembrano porsi come vero e proprio punto di incontro tra le due grandi tradizioni della Scuola di Vienna e dell’iconologia. E infatti è riconosciuta l’importanza della figura di Kris per la formazione di Ernst Gombrich,colui che partendo da Vienna divenne direttore del Warburg Institute,ponendosi come punto di essenziale allargamento degli studi iconologici,e che qui firma una bella prefazione (la presentazione iniziale al volume è invece affidata a Enrico Castelnuovo). Il libro si occupa di un tipo particolare di letteratura artistica,la biografia,genere che si sviluppa fin dall’antichità e che si impone a occidente come a oriente (frequenti gli esempi tratti da biografie e aneddoti cinesi). L’idea di Kris e Kurz è a un tempo semplice e ricca di implicazioni (implicazioni sociologiche e psicologiche):le biografie,a prescindere dal contesto socio-culturale in cui appaiono,presentano fatti e aneddoti ricorrenti,dei veri e propri topos narrativi risalenti in prevalenza all’antichità classica e alla mitologia greca:è questo il grande bacino da cui attingere per poi rielaborare e sviluppare gli aneddoti che infarciscono le biografie di artisti fino a Vasari e oltre. Per esempio il tema dell’enfant prodige,dell’artista bambino che sorprende tutti, in primis un grande maestro che lo vede all’opera (basti pensare all’aneddoto,ovviamente falso,che vede protagonisti Giotto bambino e Cimabue-presentatoci tra gli altri da Ghiberti e Vasari),e che viene scoperto solo casualmente,deriva da più antichi aneddoti in cui si raccontano,per esempio, gli incontri fortuiti e determinanti tra i “vecchi” Tucidide e Senofonte e i “giovani”Erodoto e Socrate,e sopravvive fino all’età contemporanea- per esempio a proposito di Segantini. L’importanza,per una lettura sociologica della storia dell’arte,di questi aneddoti,è evidente,in quanto questi racconti,veri o inventati che siano,ci indicano il modo in cui una data epoca ha considerato l’arte e gli artisti (per esempio,i racconti delle sottomissioni di re e imperatori- da Alessandro insultato da Apelle a Carlo V che raccoglie il pennello caduto a Tiziano- ci dicono molto dell’ascesa sociale e dell’importanza nella vita pubblica che gli artisti hanno acquisito in particolari epoche);e oltre a ciò,gli aneddoti agiscono come esempi narrativi delle teorie estetiche dominanti. Per esempio,la vicenda,raccontata originariamente da Duride di Samo e giunta fino a noi tramite Plotino,dell’incontro tra Zeusi e Parrasio,ci indica i fondamentali della teoria dell’arte in quanto mimesis,secondo cui,scrivono Kris e Kurz,”l’artista merita lode per aver copiato fedelmente,nella propria opera,la natura:insomma,una dottrina ispirata ai principi di un rigido naturalismo mimetico”. Alcune osservazioni di carattere psicologico,come quelle relative alla teoria dell’arte in quanto sublimazione di impulsi sessuali,che porta alla credenza secondo cui la donna raffigurata nel dipinto sia l’amante o l’amata del pittore (pensiamo alla “Maja desnuda” di Goya),trovano riflessi anche negli studi storico artistici successivi alla pubblicazione di questo libro,confermandoci l’universalità, o meglio la ricorrenza,dei temi affrontati negli aneddoti raccolti nel saggio -penso,per esempio,alla lettura psicologica data da Meyer Schapiro delle nature morte di Cèzanne,in quanto sublimazione di desideri sessuali repressi. E’ risaputo che le teorie di Sigmund Freud furono fondamentali per Kris (tanto che lo studioso abbandonerà la storia dell’arte per dedicarsi esclusivamente alla psicologia). L’impostazione metodologica del libro,come Kris e Kurz sottolineano più volte, è rigorosamente storica; ma un interpretazione psicologica del significato degli aneddoti fa da sottofondo a tutto il testo e si presenta chiaramente nel finale,diventando secondo Gombrich,”il senso e la sostanza del saggio”. Alcuni passi dallo splendido finale:” Topos biografico e vita sembrano stretti l’un l’altra da un doppio legame.[…[ Chi segue una vocazione è,almeno fino a un certo punto,prigioniero di questo fato o destino tipico. Un circostanza,questa,che non è in nessun modo in rapporto privilegiato,e tanto meno esclusivo con il pensiero cosciente e il comportamento dell’individuo […],ma che,al contrario investe direttamente la dimensione dell’inconscio”.
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