Dialetti a parte la lingua italiana, è ovvio, è la stessa per tutti gli abitanti del Bel Paese, così come sono condivisi dall’intera popolazione modi di dire, frasi fatte, frasi celebri e luoghi comuni. Ma ogni piccola comunità fa suoi in particolare certi termini ed espressioni tipiche che appartengono solo a chi ne fa parte e che permettono a questi membri di identificarsi e di riconoscersi tra loro. Ciò accade bene o male in tutte le famiglie e la descrizione di questa sorta di “lessico famigliare” è il pretesto con cui Natalia Ginzburg descrive un lungo pezzo di storia dei Levi, la sua famiglia, raccontandola in prima persona ma con un distacco degno del miglior cronista. Vengono così fuori gli strani aggettivi usati dal padre Giuseppe per apostrofare comportamenti e modi di essere che non gli vanno a genio (negrigure, sempiezzi, sbrodeghezzi), frasi dette da questo o quel parente o amico in una determinata occasione e che, rimaste alla storia, vengono ripetute ironicamente ogni qualvolta si presenta una circostanza analoga (non siamo venuti a Bergamo a fare campagna), giochi di parole (il baco del caco del malo) e via dicendo. Il libro della Ginzburg non si limita però a questa indagine lessicale. In un’Italia alle prese prima con il fascismo e poi con un difficile dopoguerra l’autrice narra vicende più meno importanti della sua famiglia: discussioni, litigi, amori, matrimoni, ma anche l’attiva partecipazione dei suoi membri all’antifascismo e alla resistenza che porterà il padre e i fratelli chi in galera chi in esilio e le interessanti amicizie che frequentavano la casa e in cui si possono annoverare personaggi del calibro di Adriano Olivetti, Felice Balbo, Vittorio Foa, Luigi Einaudi e Leone Ginzburg. Ma particolarmente interessanti risultano i legami con Filippo Turati, che i Levi nascosero e aiutarono a scappare quando era braccato dal regime e con Cesare Pavese, di cui la scrittrice ci offre un romantico e malinconico ritratto e propone una sentita riflessione riguardo la sua morte per suicidio che forse è la parte più bella del libro. Scorrevole e piacevole, questo romanzo permette di rivivere in chiave tutto sommato simpatica un difficile periodo storico del nostro paese e da al lettore lo stimolo per giocare con la lingua e con le proprie abitudini sollecitandolo a fare mente locale sul “lessico famigliare” che usa in casa, al lavoro o con gli amici.
Premio Strega 1963
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Legatura editoriale, 14x22,5 cm, 218 pg. Sovracoperta con tracce di umidità ma volume in buonissime condizioni.
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Enrico Caramuscio 31 ottobre 2012
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