(190 ca - 159 ca a.C.) commediografo latino. Condotto schiavo da Cartagine a Roma dal senatore Terenzio Lucano, fu affrancato per le sue doti di intelligenza e bellezza. Recatosi in Grecia, perì durante il viaggio di ritorno. Dai suoi rapporti con l’ambiente aristocratico deriva probabilmente lo spirito di urbanità che caratterizza il suo teatro, insieme alla diceria che alle sue commedie collaborassero homines nobiles (poi erroneamente identificati in Scipione Emiliano e Lelio Minore). Da questa calunnia, come da altre accuse (tra cui il rimprovero di aver fatto ricorso alla contaminatio di diversi originali greci), T. si difese nei prologhi delle sue commedie stesse. Queste, secondo l’ordine della cronologia tradizionale, sono: La fanciulla di Andro (Andria), rappresentata nel 165; La suocera (Hecyra), dello stesso anno: Il punitore di se stesso (Heautontimorumenos, 163); L’eunuco (Eunuchus) e Phormio, del 161; I fratelli (Adelphoe) del 160. La sua opera ci è giunta integra, accompagnata da una serie di commenti antichi: particolarmente importante quello di Elio Donato. Alla comicità irresistibile e non problematica di Plauto, T. contrappone un’analisi più riflessiva e sfumata del personaggio, che nemmeno al servo truffaldino o alla meretrice nega tratti di nobiltà. Coerentemente, alle sfrenate cadenze plebee del sermo plautino T. sostituisce un linguaggio più composto (anche metricamente) e propone un modello stilistico di grazia e misura. Inoltre T. attinge dai modelli greci una problematica morale ed esprime, in accordo con la parte più colta della nobilitas, ideali nuovi, anche sul piano educativo. Per questo e per le risonanze umane della sua opera, specie con l’Heautontimorumenos e con l’Hecyra, si pone come il primo grande rappresentante del dramma borghese.L’opera di T. conobbe il successo solo dopo la morte del commediografo. Se Volcacio Sedigito lo poneva al sesto posto nel suo canone dei poeti comici, Afranio (commediografo come lui), Varrone, Cicerone, Cesare e altri lodarono lo stile e la bellezza delle sue commedie. Tra i cristiani, se Agostino fu colpito dal celebre homo sum, humani nihil a me alienum puto, la monaca Rosvita di Gandersheim (nel sec. X) volle invece contrapporre alle commedie di T. una sorta di T. cristiano, componendo anche lei sei commedie (ovviamente ispirate a quelle terenziane) in prosa ritmica, e di argomento edificante. La cortigiana Taide dell’Eunuco fu ripresa da Dante in un celebre episodio del canto XVIII dell’Inferno, come prototipo dell’adescatrice. Nel rinascimento il teatro di T. contribuì, con quello di Plauto, alla rinascita della cosiddetta commedia regolare.