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Autonomia, potere, minorità. Del sospetto, della paura, della meraviglia, del guardare con altri occhi. Kant definì minorità lo stato in cui si è incapaci di usare il proprio intelletto senza la guida di un altro. Attribuì la permanenza nello stato di minorità, una volta che si producano le condizioni per uscirne, alla pigrizia e alla vita, cioè alla mancanza di volontà. Ma è sufficiente la volontà? A più di due secoli di distanza, vi sono molte ragioni per dubitarne. Certo, è sì questione di volontà, ma vi è anche un desiderio di restare nella minorità, un bisogno di mantenere la propria sicurezza fino alla rinuncia dell'autonomia. Come il protagonista del racconto di Kafka, uscendo dalla nostra tana ci soffermiamo a contemplarla dall'esterno. Ma accade spesso che non vogliamo uscire dalla tana o che, come gli uomini incatenati della caverna di Platone, non ci accorgiamo che essa è una prigione. La nascita della filosofia dalla meraviglia, dichiarata da Platone e da Aristotele, e il ruolo del perturbante, proposto da Freud, non esprimono altro che due tra i diversi modi della capacità di guardare con altri occhi la condizione in cui ci troviamo. Non è detto che ci" ci permetta di uscire dalla minorità e ci assicuri l'autonomia, ma è un passaggio necessario per conoscere.
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