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Anno edizione: 2000
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Un uomo che detiene un potere assoluto è sempre solo, se pur circondato da una corte di uomini e donne, ossequianti, perennemente in contrasto fra loro, e comunque sempre pronti a scalare una posizione nella gerarchia, cercando perfino di subentrare al vertice. Anche nel caso di Benito Mussolini c’era un seguito di variegati personaggi, dal cretino, ma utile Achille Starace, al tentennante e vanitoso Galeazzo Ciano, tanto per nominarne un paio, ma erano molti, molti di più; non mancavano le donne, quasi esclisivamente quelle ben disposte ad appagare l’appetito sessuale del duce, raramente opportuniste, per lo più infatuate. Tutta questa gente, che viveva all’ombra del potente, tesa continuamente a mettersi in luce, agiva sul palcoscenico come burattini i cui fili erano tenuti da Mussolini, sempre occupato a impedire che qualcuno cercasse di fargli le scarpe. Ne temeva soprattutto due: Italo Balbo, fascista della prima ora, aviatore dalle imprese titaniche, che nei primi giorni di guerra perse la vita per fuoco amico, e Dino Grandi, altro elemento di spicco, peraltro untuoso, a capo delle prime squadre di camicie nere, doppio giochista abile e che infatti lo tradì in modo perfetto in occasione della famosa riunione del Gran Consiglio del Fascismo del 25 luglio del 1943. E poi, per il riposo del guerriero, c’erano le donne, che riceveva quasi sempre nel suo ufficio e che possedeva frettolosamente in piedi contro il tavolo; è impossibile nominarle tutte, perché in materia l’appetito di Mussolini era veramente esagerato, ma non si può tacere la sua lunga relazione con Margherita Sarfatti nata Grassini, un’ebrea scrittrice e critica d’arte, e che tanto l’aiutò disinteressatamente, come del resto suo marito Cesare Sarfatti, ex socialista, grande penalista e amico del Duce. E sempre in tema di donne mi corre l’obbligo solo di accennare alla signora che morì con lui, Claretta Petacci. Il saggio Alla corte del Duce di Antonio Spinosa parla di questa corte, ma va anche oltre poiché torna indietro nel tempo e scrive dell’infanzia di Mussolini e degli amici dell’epoca, di cui alcuni poi lo seguiranno nella sua avventura. Puntuale, preciso e snello nella narrazione questa volta Spinosa mi ha lasciato perplesso per alcune notizie che riporta e mette in evidenza, come il fatto che Mussolini non tenesse molto alla pulizia personale o che da piccolo manifestasse un carattere violento, strappando addirittura gli occhi a un gatto che gli aveva rubato un boccone; penso però che ci sia da dar credito a queste notizie perché l’impressione che ho ricavato è che Mussolini fosse un pazzo, come testimoniato dagli occhi sbarrati dell’ultimo periodo, quello della Repubblica Sociale, espressione che gli doveva essere tuttavia abituale perchè la troviamo addirittura nella foto di copertina, scattata nel 1937 a Roma all’ippodromo di Tor di Quinto. Del resto, se si eccettuano le sue capacità giornalistiche e oratorie, resta ben poco, rimane l’immagine di un uomo in possesso di una incredibile sete di potenza, ma anche pavido, pronto a tirare il sasso e a nascondere la mano. E’ un personaggio che comunque non è facile da descrivere, così come non appare facilmente comprensibile il perché di non pochi comportamenti; eppure, Spinosa riesce bene in questo scopo, con una grande capacità di sintesi, che si può riscontrare nelle prime pagine del libro, in tre righe che riporto integralmente: “Il Duce, oltre se stesso, era una maschera che seppe tenere testa a un balletto di ombre, fino a quando non cadde il sipario, perché egli non era più in grado di reggere il ritmo incalzante della recita. Queste pagine sono come un palcoscenico sul quale lui e la sua corte recitano la parte che si sono ritagliati nella storia. Un palcoscenico in cui un ragazzotto di Predappio apparve ben presto irretito da un delirio di onnipotenza, all’inizio inconsapevole e istintivo ma che, col trascorrere degli anni, si fece sempre più assoluto come il suo regime”. Da leggere, senza dubbio.
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