(Vicenza 1478 - Roma 1550) letterato italiano. Di famiglia patrizia, studiò greco a Milano sotto la guida di D. Calcondila. Esiliato da Vicenza come fautore del partito imperiale, si stabilì prima a Firenze e poi a Roma, svolgendo missioni diplomatiche, in Italia e all’estero, per conto dei pontefici Leone X, Clemente VII e Paolo III. Propugnò un classicismo integrale, conforme ai canoni aristotelici, che espose nelle 6 parti della Poetica (1529-62), una gigantesca e macchinosa sistemazione di tutti i generi letterari, ciascuno dei quali è ricondotto a precise regole di struttura, di stile e di metrica. Le opere poetiche di T. sono una puntuale applicazione di questa normativa: Sofonisba (composta nel 1514-15 e pubblicata nel 1524), prima tragedia «regolare» del rinascimento; la raccolta di Rime volgari (1529), interessante soprattutto per gli esperimenti metrici; L’Italia liberata dai Goti (1527-47), laborioso poema in 27 libri sulla guerra tra bizantini e ostrogoti del 535-539; I simillimi (1548), quasi una traduzione dei Menaechmi di Plauto. Nessuna di queste opere sopravvisse all’autore. Più fecondi e duraturi furono invece i suoi interventi in campo linguistico, almeno per le vivaci reazioni che essi suscitarono: in particolare va ricordato il dialogo Il castellano (1529), in cui, contro le tesi di Bembo e di Machiavelli, e proponendo una tendenziosa lettura del De vulgari eloquentia di Dante (da lui tradotto e pubblicato nello stesso anno), T. sostenne l’idea di una lingua «cortigiana», ossia formata con la mescolanza di tutti i dialetti. La tesi provocò la dura contestazione di molti letterati toscani. Polemiche non meno accese sono legate a un’altra proposta di T.: quella di riformare l’alfabeto italiano mediante l’adozione di vocali e consonanti dell’alfabeto greco (Epistola intorno alle lettere nuovamente aggiunte alla lingua italiana, 1524).