Un incontro mancato. Sul fotoreportage animalista
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Nel corso degli ultimi anni le immagini dello sfruttamento animale sono ufficialmente entrate nel dominio del visibile.
«Le foto denunciano la condizione di segregazione in cui gli animali sono costretti a vivere e una dopo l'altra costruiscono un racconto che parla anche di noi, delle nostre abitudini alimentari (che stanno cambiando), della frattura profonda - etica, metafisica, scientifica - che ci separa dalle altre specie viventi.» - Corriere della Sera
La nuova stagione d'interazione tra movimenti animalisti e mezzi di comunicazione di massa ha fatto dell'immagine fotografica lo strumento privilegiato di diffusione delle istanze animaliste. "Utilizziamo la fotografia per dimostrare che qualcosa sta accadendo o è realmente accaduto. Come il reportage di guerra, che si fa supportare dall'immagine fotografica per comprovare una realtà a cui preferiremmo non credere, anche il fotoreportage animalista scongiura il timore dell'incredulità. Temiamo che non ci credano quando diciamo loro che gli animali soffrono, e quanto soffrano. Che non ci credano teoricamente ma soprattutto che non ci credano emotivamente: che non bastino le nostre parole a convincerli che quel dolore è insostenibile." L'eloquente mutismo dell'immagine, molto simile, in fondo, a quello degli animali, intrattiene da sempre un rapporto viscerale e pur travagliato con la politica. La nascita del fotoreportage animalista c'induce quindi a interrogare ancora una volta, insieme ad autrici e autori come Sontag, Benjamin e Barthes, quella relazione, affatto semplice, che intercorre tra immagine, parola e politica nella società contemporanea.
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Anno edizione:2017
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