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Bollettino di guerra - Edlef Köppen - copertina
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Descrizione


Pubblicato nel 1930, al termine della repubblica di Weimar e poco prima dell'avvento del nazismo, "Bollettino di guerra" è un romanzo di forte impatto. Con l'immediatezza della testimonianza diretta, ma nello stile impartecipe della Nuova Oggettività, mostra come nessun altro gli orrori della Prima guerra mondiale. Il giovane studente Adolf Reisiger, partito volontario per il fronte francese come artigliere, impara a conoscere la carneficina che avviene sul fronte, dal fuoco in trincea agli attacchi col gas, dai bombardamenti aerei agli assalti dei carri armati. Il giovane lotta con tutto il suo ardore contro la forza devastante di una guerra disumana, "moderna". Gettato letteralmente in un bagno di sangue scopre che eroismo, abnegazione, trionfi sono parole vuote, dietro le quali resta solo il cieco, brutale, insensato obbligo di "obbedire all'ordine di uccidere". Proibito dai nazisti, dimenticato per decenni in Germania e inedito in Italia, questo romanzo, giudicato dai critici contemporanei il migliore sull'esperienza della Grande guerra, regge senza timore il confronto con altri assai più noti, come "Niente di nuovo sul fronte occidentale" di Erich Maria Remarque. Nato nel 1893 Köppen partì per il fronte francese nel 1914. Più volte ferito e promosso sul campo, al termine della guerra fu rinchiuso in un ospedale psichiatrico. Congedato nel 1918, divenne redattore e traduttore lavorando per la prima radio di Berlino. Licenziato con l'avvento del nazismo, morì nel 1939.
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Dettagli

2008
Tascabile
18 marzo 2008
404 p., Brossura
Heeresbericht
9788804576570

Valutazioni e recensioni

Renzo Montagnoli
Recensioni: 3/5

Comprendo che l’editore, a fini pubblicitari, cerchi di osannare il suo libro, ma, almeno in questo caso, accostarlo a quel grande capolavoro che è Niente di nuovo sul fronte occidentale mi sembra francamente un po’ troppo. Intendiamoci, non è che Bollettino di guerra sia un’opera pessima o mediocre, perché se si vuole comprendere quello che fu la Grande Guerra per chi vi prese parte va più che bene, ma manca di indispensabili qualità per poterlo definire uno dei migliori resoconti letterari su quel conflitto. Koppen fu uno dei milioni di protagonisti di quell’immane macello e della sua esperienza ne parla diffusamente e con dovizia di particolari; quello di cui è carente è il talento letterario, così che Bollettino di guerra finisce con il diventare uno dei tanti scritti, interessanti senz’altro, ma di poca caratura, che non pochi reduci pensarono di stilare, per ricordare a se stessi e per far conoscere ad altri. Al fine di dargli la parvenza di un romanzo e non di un’autobiografia l’autore si è inventato un personaggio, un volontario in quella guerra nell’arma dell’artiglieria: Adolf Reisiger. Costui, giovane studente imbevuto di retorici concetti e naturalmente ardimentoso data la sua età, decide di arruolarsi e viene assegnato a un reggimento di artiglieria leggera, il che gli consentirà di non provare le angoscianti sensazioni del povero fante immerso nel fango delle trincee, limitandogli anche i pericoli, rivenienti per lo più dai tiri di controbatteria. Agli inizi sembra quasi un gioco, ma con il trascorrere del tempo finirà con l’accorgersi che onore e patria, per come gli sono stati inculcati, sono parole vuote e che lì, sul fronte occidentale, non si è altro che dei numeri, della carne fresca da avviare al macello. È evidente, pertanto, il motivo per il cui libro, pubblicato nel 1930, fu ben presto proibito dai nazisti, guerrafondai per natura e che perciò non potevano consentire che la loro retorica venisse smascherata dalla realtà. Di tanto in tanto, nella narrazione, ci sono degli intercalati costituiti da bollettini di guerra, da comunicati ufficiali, da articoli di alcuni giornali tedeschi, tutte notizie che presumo possano essere autentiche e che servono soprattutto a rendere più stridente la discrasia fra il roboante linguaggio dei sostenitori della guerra e la tragica realtà della stessa. Tuttavia, a volte l’inserimento non è così felice e fa calare un ritmo già di per sé un po’ troppo blando. Sarebbe stato meglio, forse, che Koppen avesse provveduto a degli approfondimenti sugli stati d’animo, su quell’ancora di salvezza che è il cameratismo che si instaura quasi obbligatoriamente fra i compagni di sventura, magari accompagnandoli da riflessioni sulla condizione umana, in particolare quando di fatto si è obbligati a uccidere. La lettura è comunque abbastanza piacevole e non mancano episodi di interesse, come una bella descrizione di un assalto francese alle trincee tedesche. Nel complesso, tuttavia, benché non ci sia un’esaltazione della guerra, ma una sua decisa condanna, il libro, per come è scritto, appare più come un articolo giornalistico che come un’opera letteraria e ciò è indubbiamente un limite, perché, dato l’argomento, si sarebbe potuto e dovuto fare di più, ma è evidente che il talento letterario è qualche cosa di innato e che comunque non rientra fra le caratteristiche di Koppen, che è solo un onesto e corretto memorialista di quella fu una sua devastante esperienza personale.

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