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La cognizione del dolore
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La cognizione del dolore - Carlo Emilio Gadda - copertina
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La cognizione del dolore

Descrizione


«Forse per la prima e ultima volta nella sua vita, Gadda tenta di scendere alle origini del proprio male. Non si perdona nulla: non si illude, non si compatisce, non ostenta giustificazioni né colpe immaginarie: contempla con una triste rassegnazione lo spettacolo delle proprie collere e la vanità delle cause cui sembra appassionarsi. Non arretra davanti a nessun particolare, per quanto penoso possa sembrargli; e non è vittima del proprio odio verso di sé. Così non sappiamo se ammirare il coraggio con il quale ha condotto sino in fondo l’analisi: o soffrire, insieme a lui, per la terribile piaga che nemmeno la felicità della forma può risanare». - Pietro Citati

A Lukones, in una villa isolata, una madre e un figlio si fronteggiano. Lui, don Gonzalo, che le dicerie vogliono iracondo, vorace, crudele e avarissimo, è divorato da un male oscuro, quello che «si porta dentro di sé per tutto il fulgurato scoscendere d'una vita». Lei, la Signora, è ridotta da una desolata vecchiezza e dal lutto per la morte dell'altro figlio (il «suo sangue più bello!») a una spettrale sopravvivenza. Li unisce un amore sconfinato, li separa un viluppo di gelosia, senso di colpa, rancore, dolore - preludio al più atroce degli epiloghi. Intorno a loro una casa dissennata, feticcio narcissico ed epicentro di ogni nevrosi, estremo rifugio e tomba, e un'immaginaria terra sudamericana identica alla nostra Brianza, vessata dai Nistitúos provinciales de vigilancia para la noche ? che a tutti vorrebbero imporre la loro violenta protezione ?, assediata da robinie e banzavóis, disseminata di strampalate ville, popolata di «calibani gutturaloidi» che come miserabili Proci dilapidano le attenzioni della Signora. E che Gonzalo vorrebbe cancellare, insieme al barcollante feudo e a tutte le «figurazioni non valide». Perché il «male invisibile» da cui è affetto lo condanna a distinguerle e negarle, quelle «parvenze»: a respingere la «cara normalità», la turpe contingenza del mondo. Anche a prezzo di negare se stesso, anche a prezzo della più dura cognizione, quella che consegna alla solitudine e alla «rapina del dolore».
In copertina: illustrazione di Carlo Farneti per Bien loin d’ici di Charles Baudelaire (Les Fleurs du mal, Gibert Jeune-Librairie d’Amateurs, Paris, 1935).
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Dettagli

2019
Tascabile
21 novembre 2019
381 p., Brossura
9788845934407

Valutazioni e recensioni

GuendalinaGi
Recensioni: 5/5
Un libro che va assaporato

Apprezzare Gadda può risultare difficile se ci lasciamo condizionare solo dallo stile pomposo della scrittura e dal suo irrefrenabile gusto per le mescolanze dialettali e linguistiche, al contrario ci appare molto semplice se ci facciamo trasportare dalle impressioni che la storia e l’uso sapiente delle parole richiamano alla nostra mente. La cognizione del dolore è una storia che inizia e termina con la descrizione dei furti che avvengono nello stato immaginario del Maradagál, furti che colpiscono solo coloro che non sono abbonati al “Nistitúo provincial de vigilancia para la noche” (velata allusione al regime fascista) che in queste pagine viene criticato e accusato di illegalità da coloro che rifiutano di iscriversi, primo fra tutti Gonzalo Pirobutirro, il vero protagonista del romanzo, nonché l’alter ego di Carlo Emilio Gadda, ed è proprio in questa chiave che il testo va assaporato ed analizzato. Le vicende che riguardano Gonzalo sono strettamente autobiografiche come il rapporto burrascoso con la madre, la morte del fratello minore, la tanto odiata dimora familiare (una villa per la quale i genitori avevano contratto numerosi debiti e che Gadda riterrà sempre di essere stata più amata di lui da parte della madre) ed infine anche l’occupazione come scrittore. In queste pagine emergono molto le nevrosi che affliggono l’autore ma ciò che impregna tutta la seconda parte è la morte: l’effetto devastante che provoca alla madre la notizia della scomparsa del figlio più piccolo, “il suo sangue più bello”, ed il presagio funebre che ci accompagna verso l’epilogo. Un epilogo incompiuto, che conferisce all’intera opera uno spazio sconfinato di soggettività, evocando sensazioni e dubbi sempre differenti ad ogni nuova lettura.

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Recensioni: 5/5

Dicono che Carlo Emilio Gadda sia uno "scrittore barocco". Lo dicono i lettori che si soffermano sull'architettura della sua prosa: sulle fughe di corridoi e ingannevoli trompes l'oeil edificate dal suo lessico tutt'altro che familiare, sulle decorazioni linguistiche che, invece di ornare, coprono il senso di ogni cosa, rendendo tutto trionfalmente confusionario. Credo che lo dicesse anche Carlo Emilio Gadda di se stesso, che era uno "scrittore barocco". Eppure, guardando le pagine della Cognizione del dolore si comincia a ascoltare un'altra musica. Ci si accorge, quindi, di essere di fronte non a una chiesa barocca, ma semmai a un brano jazz. Uno di quei brani lunghi, interminabili, che non sai mai quando finiranno e che poi finiscono di colpo, anche se non finiscono mai, perché ricominciano da capo, in un'altra forma. È difficile seguire la musica jazz. La suonano in locali bui e fumosi, che puzzano di birra sgasata e di whiskey fortissimi. L'orchestra non sembra mai amalgamata. Il pianista è sempre molto nervoso: si agita e si dimena, e suda parecchio sui tasti bianchi e neri. Il bassista sembra molto preoccupato, ha dei crucci che non lo lasciano in pace, lo atterriscono, lo immobilizzano, a eccezione delle abili dita, agilissime anche quando paffute e gonfie di bagordi e di esperienze lontane. Il batterista se la ride, perché tanto lo sa che gli altri lo sanno che è lui a comandare. Spesso c'è una cantante che sale e scende dal palcoscenico come le pare e piace a lei, comincia a cantare a metà brano, se solo i brani jazz avessero un inizio e una fine e quindi anche un punto a metà, poi se ne va a bere un sorso di martini dal bicchiere triangolare con l'olivetta verde dentro, poi ritorna, e canta come se sbadigliasse, sbadiglia come se non le importasse nulla, nemmeno di dove sia il microfono, e è quasi sempre bionda ma quasi mai bionda naturale. La Cognizione del Dolore è così: difficile da seguire e da capire, se non si ha l'orecchio abituato. Proprio come la musica jazz. L'armonia di questo romanzo è umorale e ciclotimica, si disfa e si ricostruisce senza rigore, si muta al ritmo con cui lo schizofrenico viene impossessato dalle sue personalità: sembra tutta una fuga, tutto un contrappunto. La melodia è indecifrabile, smarrita negli infimi egoismi dei singoli strumenti, che si rincorrono ma non si acchiappano mai, perché, pare, in fondo vogliono correre da soli, ognuno per la propria strada. Poi, dopo il coro incomprensibile della prima parte, suonata con l'italiano, diversi dialetti e interi periodi interamente in spagnolo, si intromette una seconda parte come uno squarcio di malinconia. Il ritmo si fa più lento, il colore più cupo, la cantante bionda diventa Nina Simone e prende il controllo di tutto, con la sua voce calda e malinconica che riverbera per il locale fumoso. Ci opprime, quella voce notturna e desolata, ci commuove, fino a quando non si spezza in mille rivoli di vibrato che scappano via veloci come piccoli fiumi che si rifiutano di confluire in un unico mare. È così, dunque, che Gadda descrive il dolore, scrivendolo come note musicali annotate con l'inchiostro viola brillante e rosso carminio, su un pentagramma ideale e idealmente infinito, che sale verso l'altro e si attorciglia, come una spirale illimitata, perché il dolore è quella spirale che ti imprigiona sempre e non ti lascia mai, la musica di sottofondo delle tue giornate, persino di quelle sognate. Cos'è, dunque, La Cognizione del Dolore? È un romanzo incompiuto, che precipita fino a schiantarsi su una poesia?, intitolata Autunno, come la stagione più dolorosa e colorata, la più jazz. È, tanto per cominciare, un romanzo? Sono degli appunti sparsi? Oppure, come direbbero gli anglofoni, un character study? Sì e no. Non si può dire nient'altro. Non si può rispondere a queste domande in maniera chiara e precisa. Non ha senso insistere. Di fronte al jazz, così come di fronte al dolore, bisogna solo chiudere gli occhi e non pensare più. «Quella, che il bimbo pativa, non era la festa di una gente, ma il berciare d'una muta di diavoli, pazzi, sozzi, in una inutile, bestiale diavolerìa... Si trattava certamente, pensò adesso di sé il figlio, di una infanzia malata. L'uomo tentò di riprendersi da quel delirio. Consentì ad aggiudicarsi un ritardo nello sviluppo, una sensitività morbosa, abnorme: decise di essere stato un ragazzo malato e di essere un deficiente. Così soltanto poteva stabilire una relazione fra sé e i suoi concittadini.»

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Carlo Emilio Gadda

1893, Milano

Carlo Emilio Gadda è stato uno scrittore italiano. Fece tutti i suoi studi a Milano, fino a quelli di ingegneria. Combattente nella prima guerra mondiale, fu fatto prigioniero e trasse da queste esperienze un Giornale di guerra e di prigionia, pubblicato più tardi (1955). Negli anni Venti svolse la professione di ingegnere, in Italia e all’estero, collaborando nel frattempo alla rivista fiorentina «Solaria», nelle cui edizioni pubblicò gran parte delle sue prime opere narrative: La Madonna dei filosofi (1931) e Il castello di Udine (1934). Da Milano, dov’era tornato a stabilirsi, si trasferì nel 1940 a Firenze, e qui risiedette quasi ininterrottamente fino al 1950. Visse da allora a Roma, dove lavorò per il terzo programma radiofonico...

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