Indice
Le prime frasi del romanzo
L’oro del sole al tramonto inondava l’Ombra del Sole, la residenza dove si era ritirata Nefertiti, a debita distanza dal centro della nuova capitale creata dal marito, il faraone Akhenaton. Aveva sperato che, isolandosi, avrebbe recuperato le forze, ma lo sfinimento cresceva inesorabilmente.
Quanto amava la fine del giorno, quell’ora tanto serena. Le sommità delle colline si tingevano di un colore rossiccio, il Nilo scintillava, gli animali rientravano dai campi, le melodie dei flauti deliziavano i raccolti. Poi sarebbe calata la notte, sinonimo di una morte che al sole divino sarebbe spettato sconfiggere.
Un sole che Nefertiti non avrebbe più contemplato su quella terra.
«È arrivato lo scultore Thutmose» l’avvertì il Vecchio, suo fedele servitore fin dall’infanzia.
«Che entri pure.»
La voce era quasi impercettibile, il Vecchio si spaventò.
«Lo mando via e chiamo il medico di palazzo!»
«No, è inutile. Ma avvisa il re, digli di fare in fretta.»
Thutmose era lo scultore preferito della regina, che nel frattempo aveva preso posto su un trono di legno dorato, del quale stringeva i braccioli.
Con mano esitante per via dell’emozione, l’artista svelò la sua opera.
«Ecco il vostro ritratto, Maestà.»
Un busto di calcare, coperto di uno strato di gesso, alto una cinquantina di centimetri, rappresentava una donna di una bellezza sconvolgente. Con una corona color cobalto sul capo, il collo ornato da una collana incastonata di perle verdi, rosse e blu, la regina abbozzava un sorriso leggero, e il suo sguardo, sereno e profondo, scrutava l’invisibile.
«Non sono io... Io sono vecchia e malata.»
«Ho scolpito la vostra anima, Maestà, e l’ho scolpita per l’eternità. La luce che la vivifica attraverserà i secoli. Se questo ritratto vi è gradito, desidero completarlo nel mio laboratorio.»
Nefertiti assentì, e Thutmose si eclissò. Le ultime forze la abbandonavano; la sovrana riuscì però a trascinarsi fino allo specchio d’acqua, circondato da colonnati, dove approfittò degli ultimi raggi del crepuscolo. L’acqua era tiepida e limpida; la regina un tempo vi si immergeva volentieri. Quella sera, invece, non era neanche più in grado di celebrare un rito in onore del sole, al confine col mondo delle tenebre.
Un dolore violento le attraversò il petto, le mancò l’aria; si accasciò su una poltroncina dallo schienale basso, la testa rovesciata all’indietro.
L’angoscia la attanagliava: il re avrebbe acconsentito a spostarsi, le avrebbe concesso la gioia di rivederlo prima di scomparire?
La donna più potente d’Egitto, dotata dei poteri di un faraone, era sola al cospetto della morte.
Come sempre, Nefertiti lottò; trovò l’energia necessaria per aspettare l’uomo che aveva venerato e sostenuto durante un percorso lungo vent’anni, fatto di lotte violente e di innovazioni che avevano sconvolto molti spiriti ostili.
Che avventura insensata, quante follie realizzate, quanto entusiasmo nei confronti di una luce nuova!
L’acqua si increspò sotto l’effetto di un dolce vento del nord, e i suoi riflessi abbagliarono la servitrice del dio Aton. Allora Nefertiti ricordò...