Coltivare la memoria di un mondo ormai superato dall'evolversi della storia non vuol dire perdersi nella nostalgia del passato, né volerne ripercorrere sistemi di vita oggi irripetibili. Per ogni individuo è però necessario trovare le proprie radici, il punto di partenza, per meglio capire e definire il percorso della propria esistenza. Chi ha la fortuna di provenire dalla realtà contadina ha senz'altro una speciale ricchezza interiore, avendo imparato a conoscere il mondo e gli uomini dal rapporto con la natura e con la terra, come i tanti uomini e le tante donne che, nel lavoro nei campi, nella sofferenza, nelle lotte per l'emancipazione, hanno scritto parte della storia del secolo scorso. Non si è mai trattato di singoli personaggi di altissimo livello culturale, sociale, di potere, decisivi per le sorti del Paese. L'epopea contadina è un insieme di fatti e persone che, apparentemente marginali rispetto ai dettami della Storia, in realtà hanno prodotto un'identità e una civiltà che hanno rappresentato, per molti anni, i cardini su cui si è retta la nostra società: saldo ancoraggio ai principi di solidarietà, laboriosità, rispetto del prossimo, della natura, della madre terra. Coltivarne la memoria vuol dire dunque tenerne vivi costumi e tradizioni, ma soprattutto coltivare i valori che quegli uomini e quelle donne hanno contribuito a formare attraverso le vicende delle loro vite. Il racconto della storia del villaggio contadino di Falasche, fino agli anni settanta del secolo scorso, vuole essere perciò soprattutto un omaggio a tutti coloro che vissero quella realtà e a coloro che, in ogni parte del Paese, nell'immediato dopoguerra, con la loro instancabile laboriosità, contribuirono a ricostruire l'Italia. Simili sono infatti le tradizioni, le sofferenze, la vita dei contadini ad ogni latitudine e, chi ha vissuto, conosciuto o studiato il mondo contadino spero possa riconoscersi in questa lettura. Quanto a noi, figli della società dei consumi e della subcultura dell'apparire, coltivare la memoria deve significare innanzitutto acquisire la consapevolezza che i nostri avi ci hanno lasciato, a costo di pesanti sacrifici, un bel mondo, migliore di quello che avevano ereditato. Non è affatto scontato che, come i nostri avi, anche noi sapremo lasciare, ai nostri figli, un mondo migliore di quello che abbiamo trovato, soprattutto per esserci lasciati omologare, nel tempo, a modelli di vita che hanno rappresentato l'annullamento dei loro principi e valori, dell'identità e del senso di appartenenza, tanto che, oggi, non sappiamo più chi siamo.
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