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Cioran ha sempre amato i grandi ritrattisti francesi, da Saint-Simon a Tocqueville. E in questo libro ha mostrato come continuare, per vie impreviste e oblique, la loro arte. Qui troveremo ritratti di Beckett e di Borges, di Michaux e di Fitzgerald che subito toccano l’essenziale e ci restituiscono un’immagine di questi scrittori che non riusciremo mai a cancellare. L’ammirazione va talvolta insieme a una lunga schermaglia con l’autore di cui Cioran parla, visibile soprattutto nei saggi su Joseph de Maistre e Paul Valéry. Testi estremi l’uno e l’altro: il primo perché dedicato al «più appassionato e più intollerante fra i pensatori», il secondo perché mosso da una «esasperazione impura» che accende tutti i possibili contrasti. Fuori da questo eccesso di nettezza, anzi dall’interno di una ominosa penombra, ci viene incontro invece il ritratto di una donna incontrata soltanto due volte, vera «creatura della luce lunare». E ovunque avvertiremo, nella vibrazione di questa prosa, la «superba vertigine» dello scrittore.
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