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Il volume espone e illustra l’articolato percorso compiuto durante un ricco trentenniod’esperienze di studio, di conoscenza e di lavoro, rivolte al grande complesso trasteverino dell’ex convento di San Francesco a Ripa a Roma: una storia di passate destinazioni d’uso, religiose e militari, mai completamente abbandonate. Ancora oggi, alcuni frati francescani occupano una parte modesta delle costruzioni, e i militari – non più i bersaglieri, ma i carabinieri del Nucleo tutela del Patrimonio artistico – sono insediati nell’ampia porzione loro destinata. Il quartiere di Trastevere (pianura di deposito alluvionale compresa tra l’ansa del Tevere e il Gianicolo), anticamente molto popolare, era, e in parte è tuttora, caratterizzato dalle vaste aree degli antichi conventi protetti da mura rustiche, da tracciati viari di ascendenza romana e medievale perfettamente leggibili, e dalla presenza del serrato borgo operaio, generato dall’intensa attività intorno al distrutto porto fluviale di Ripa Grande. Non che questo quartiere «povero» della Roma antica non abbia subito i suoi oltraggi nei secoli e decenni passati, a partire dall’inserimento della Manifattura tabacchi già sotto Pio IX.Lo studio preliminare all’intervento è riuscito a ricostruire, attraverso un accurato lavoro di indagini archivistiche, bibliografiche, archeologiche, decorative, artistiche e materiali, la secolare storia di vita del complesso, orientando di conseguenza le scelte architettoniche e strutturali. Ma la vecchia divisione tra una parte ancora d’uso religioso (la parrocchia che sostituì il convento) e una parte a uso pubblico (militare una volta, culturale oggi), sancita all’epoca delle soppressioni degli ordini religiosi dopo il 1871, è stata riproposta nel progetto in corso d’esecuzione. I progettisti hanno avuto cura di non realizzare delle separazioni fisiche dannose per la comprensione della struttura architettonica, della quale gli architetti hanno mirato a recuperare i valori spaziali e urbanistici, avviando così un processo di ricostruzione di un’identità. Nello stesso tempo, però, hanno ricercato anche le tracce di testimonianze decorative che arricchivano un convento volutamente disadorno, poiché destinato a una delle correnti più rigorosamente osservanti della povertà francescana. Spicca, infatti, nel pieno sfarzo della febbre edilizia della Roma rinascimentale e barocca, e nella frenetica attività degli architetti all’opera per la corte papale, la quasi totale assenza del nome di un qualche celebre architetto, mentre ci s’imbatte continuamente in nomi di capomastri o appaltatori più o meno oscuri, riconoscibili nella povertà e nella semplicità delle tecniche edilizie impiegate, nel continuo riuso dei materiali e nelle estemporanee soluzioni tecniche.I curatori Paola Degni e Pier Luigi Porzio, unitamente agli autori degli altri saggi qui hanno dato prova di una pregevole capacità analitica, interpretativa e progettuale per aver saputo cogliere a pieno l’importanza di questo intervento eminentemente urbano, quale segno distintivo della genesi e dello sviluppo di una città come Roma, che si caratterizzava anche per l’alternanza delle grandiose costruzioni principesche e degli ordini religiosi trionfanti con una prassi edilizia comune, più dimessa, ma non per questo meno significativa.
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