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Adesso tienimi - Flavia Piccinni - copertina
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Adesso tienimi
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Descrizione


Quando uscì fu un caso editoriale. A distanza di dodici anni torna in libreria il romanzo d'esordio della scrittrice Flavia Piccinni: una storia d'amore, d'abuso e di morte in una Taranto violenta e bellissima

«Una voce convincente e precisa fin dall’attacco» Michele De Mieri su «il Venerdì»

«Un romanzo maturo, dalle tinte cupe, senza concessioni al giovanilismo» Paolo Di Paolo su «l’Unità»

«Un romanzo d’esordio che è un colpo al cuore» Antonella Lattanzi su «Stilos»

Amare, e nell'amore morire. È questa la storia di Martina, che ha diciassette anni, che vive a Taranto, che conosce l'abuso e la dipendenza, che trova nell'ossessione una zattera per una momentanea, disperata, felicità. Intorno a lei un Sud perbenista e ipocrita. Dentro di lei la violenza assoluta come si conosce solo nella giovinezza. La sua storia, malinconica e aspra, la racconta direttamente lei. Per come l'ha vissuta. Per come l'ha uccisa.

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Dettagli

2019
12 marzo 2019
Brossura
9788894845082

Valutazioni e recensioni

Francesca Colantoni
Recensioni: 5/5

"Sono nata a Taranto. 500 milioni di debiti e 90,3 % della diossina che uccide l'Italia. Vivo in Via Cagliari 32/A, in una villetta bianca con il cancello in ferro battuto arrugginito. Fumo due pacchetti di Chesterfield blu al giorno, mangio solo caramelle gommose senza zucchero e popcorn al formaggio. Nel tempo libero guardo la televisione o piango. Ho due amiche, Iolanda e Giulia. Avevo un fidanzato, prima che si ammazzasse" (p.15). Con una schiettezza intensa ed efficace quanto a tratti ruvida, questo romanzo, esordio letterario della scrittrice Flavia Piccinni e datato 2007, è prepotente e tagliente come solo certe parole sanno esserlo, affrontando alcuni temi, ancor oggi, considerati scabrosi. “(...) ci insegnano che la sofferenza ha sequenze di sfumature, ma il dolore vero non conosce confini. Si inabissa nei cuori come petali di rosa, e li copre per l'eternità” (p.38). L’adolescente Martina, studentessa all’ultimo anno di un liceo classico a Taranto, è protagonista e voce narrante di questo libro in cui c’è tutto: l’incomunicabilità genitori - figli, gli abusi fisici e quelli psicologici, la denuncia sociale sull’inquinamento prodotto, negli anni, dall’ILVA e che hanno reso la città, sfondo della storia e luogo natale della stessa autrice, invivibile e degradata. “Paolo VI, Taranto 2, Tamburi sono per tutti piccole discariche, figlie di quella grande e meravigliosa pattumiera di uomini e di bellezze che è Taranto Vecchia, che ti fa capire come Taranto non sia né Puglia né Italia. Taranto è Taranto e basta” (p.76). Circondata da adulti distratti e distanti emotivamente, Martina appartiene a una famiglia borghese, conformista e ipocrita, che pensa più alle apparenze che agli affetti. “Quando torno a tavola nessuno si è accorto di niente. A nessuno importa. Neppure in questa stanza dove tutti sono attenti alle minime mosse altrui per poi tagliare appena tornati a casa” (p.113). Fin da quando è bambina, ha un rapporto difficile con la madre Adriana che, considerandola solo una disgrazia, si disinteressa a lei, tranne quando la deve rimproverare sul suo aspetto fisico (“diceva che ero grassa”, p.17). “Adriana mi voleva insicura. Sapeva che, fino a quando fossi dipesa da lei, non avrei potuto ribellarmi. Lo sa ancora, che è così. E non perde occasione per esercitare la sua forza, consolidata in anni di punizioni mentali e ricatti morali” (p.48). Il padre Michele è, invece, praticamente assente dalla vita della figlia. Cresciuta in quest’ambiente emotivamente destabilizzante, Martina e il suo corpo subiscono un ultimo e atroce scempio. E’ violata dal suo professore di fisica, Viello, sposato con figli. “Mi hai preso, anche se non ti ho voluto. Sei entrato dentro di me e, dall’interno, hai iniziato a scardinarmi. Hai dilaniato la mia vita e mi hai fatto impazzire. Mi hai costretta ad essere tua” (p.130). Vittima del suo predatore non riesce a scappare da questo rapporto, un amore malato come lo definisce lei stessa, di cui diventa succube e schiava. “Avevo imparato a volerti bene con il tempo, come le spose bambine, e quel ricatto iniziale non esisteva più. Pensavo solo che non sarei stata all’altezza, anche se erano mesi che offendevi il mio corpo” (p.55). Nessuno intorno a lei, né a casa né a scuola, si accorge di cosa stia accadendo. Nemmeno in un secondo momento, quando l’orco si suiciderà senza un motivo apparente. “Hanno rinunciato a capirmi quando mi hai lasciato. Si sono resi conto che sarebbe stato più facile ignorarmi. Fare finta , come con gli handicappati, che vada tutto bene” (p.28). Martina non parla con nessuno della sua sofferenza e sprofonda nel buco nero della depressione. Pensa al suicidio, ma pratica il cutting, preferendo il dolore fisico a quello mentale. “Quello che all’inizio immaginavo e basta è diventato realtà. Dopo essere uscita dall’ospedale passavo le ore appoggiata alla porta a dondolarmi. Sbattevo la testa contro il legno per farmi male. Volevo spaccarmi in due, come tu solo eri riuscito a fare. Guardavo i tagli, netti e profondi, orizzontali che mi squarciavano i polsi e che non erano stati abbastanza cavi da aiutarmi a dimenticare. Erano solo taglietti. Era stato un gesto inspiegabile per tutti, perfino per il medico” (pp.51-52). Amarezza, solitudine e senso di abbandono s’impossessano di lei e delle sue giornate riempite da corse in motorino, birre e tagli ai polsi per stordirsi e dimenticare, conducendola in un baratro senza ritorno. “Resto in bilico, indecisa se andarle a parlare e raccontarle tutto. Spiegarle come stanno le cose, proprio come facevo da bambina. Eppure il silenzio capicolla su di noi, e annulla ogni cosa. Forse è questo, diventare adulti. Forse è smettere di fare la cosa giusta, per imparare a fare la cosa meno dolorosa” (p.36). Con un ritmo incalzante, riga dopo riga, questo libro gronda dolore e mi spinge in un abisso insieme alla protagonista Martina. Tutto commuove ed è un misto tra consapevolezza e inconsapevolezza: Taranto e il suo cielo che, devastato di nuance, non era magia né bellezza ma solo inquinamento; Viello che non era il suo fidanzato, il suo amante o il suo unico amore ma, unicamente, un predatore sessuale. La sua storia può essere quella di ognuna di noi: bambine, adolescenti, donne nate in famiglie che non abbiamo scelto o costrette in rapporti che non vogliamo. E’ difficile dire se mi sia piaciuto questo libro: non certo per il tipo di scrittura, quanto per i temi trattati. Essendo donna, la sua lettura mi ha creato notevole disagio e imbarazzo: di sicuro però, è, certamente, una sensazione personale. Il romanzo non concede sconti alla realtà e la storia, a tratti senza omissioni, è arricchita talvolta da parole spietate che graffiano la carta e il cuore. La prosa è caratterizzata da paragrafi brevi e senza interruzione in capitoli. Ciò accentua il ritmo serrato e dà rilievo al flusso d’angoscia che, snodandosi tra le pagine, è palpabile in ogni riga. Flavia Piccinni padroneggia bene lo stile, regalando a Martina naturalezza e lucidità, e a noi lettori un esordio già maturo. E’ stata, infatti, talmente brava a far provare alla protagonista la disperazione tipica delle vittime, da indurmi a pensare che fosse un romanzo autobiografico, visto anche che lo ha scritto a soli ventuno anni. Quest’opera non lascia indifferenti e costringe a riflettere soprattutto gli adulti che ruotano intorno agli adolescenti e che, alle volte, non vogliono vedere la cruda realtà che si pone di fronte ai loro occhi.

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Flavia Piccinni

1986, Taranto

Flavia Piccinni ha curato due antologie, pubblicato i romanzi Adesso Tienimi (Fazi, 2007) e Lo Sbaglio (Rizzoli, 2011), il saggio La mala vita (Sperling&Kupfer, 2012). Ha vinto numerosi premi letterari (Campiello Giovani) e radiofonici. Fa parte della redazione di «Nuovi Argomenti». Collabora con Radio3 Rai e con Rai1. È coordinatrice editoriale per la casa editrice Atlantide. Nel 2016 pubblica Quel fiume è la notte per Fandango libri. Con l’inchiesta Bellissime (Fandango, 2017) ha vinto il Premio Croce, il Premio Enea e il Premio Essere Donna. Il libro ha suggerito tre interrogazioni parlamentari e un DDL, ed è diventato un film documentario per Fandango che aprirà la rassegna "Alice nella città" alla Festa del Cinema di Roma....

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