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Anno edizione: 2012
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Ho utilizzato questo manuale insieme ad un altro per un esame universitario e si notava la netta differenza tra i due. Il libro di Sciolla è completo e molto chiaro in quello che dice. Sicuramente si tratta di una lettura importante e lunga, ma fornisce numerosi spunti di riflessione. Ancora oggi, lo trovo molto contemporaneo ed essenziale per una completa comprensione del mondo della critica d'arte
Questo volume di Gianni Carlo Sciolla è davvero una grande opera:nella sua concezione manualistica offre un affresco ampio e puntuale della storia della critica d’arte del novecento,partendo dai padri della disciplina modernamente intesa (Alois Riegl e la Scuola di Vienna,Heinrich Wolfflin,Aby Warburg,ecc.) fino alle ultime propaggini del dibattito teorico e metodologico (la crisi della storia dell’arte negli anni ’80). Nella prefazione,dopo un rapido accenno alla letteratura che affronta l’argomento,in cui vengono accennate le diverse concezioni di una “storia della critica d’arte” e di una “storia della storiografia artistica”,viene sottolineato il ruolo propulsivo del fondamentale volume di Lionello Venturi del 1936,di cui viene accettata la definizione di “critica”,pur nella precisazione che gli intenti del presente libro sono diversi da quelli del neoidealismo venturiano “che identificava la storia della critica con la storia dell’arte”. La struttura del libro viene spiegata dall’autore nella prefazione:” La traccia storica che ci proponiamo è strutturata in due momenti:schematici capitoli introduttivi seguiti da una serie di schede di carattere biobibliografico. I primi sono profili sulle tendenze critiche di un determinato periodo,sui principali storici e critici dell’arte,sui loro scritti,sulle imprese editoriali a cui sono collegati,[…] sul dibattito culturale da essi suscitato. Le seconde forniscono i dati biografici e bibliografici i riferimento”. Probabilmente il confronto con altri studi che hanno affrontato lo stesso argomento può rivelarsi indicativo delle peculiarità del libro di Sciolla:proviamolo a paragonare con l’altrettanto fondamentale volume di Udo Kultermann,”Storia della storia dell’arte”. Il fatto che Kultermann si interessi alla storia della critica d’arte nella sua globalità,dall’antichità all’età contemporanea,lo porta ad essere,rispetto a Sciolla, generalmente più sommario nella presentazione di alcuni storici dell’arte del novecento:è il caso sia di singoli autori,come Adolfo Venturi e Julius von Schlosser,sia di correnti metodologiche fondamentali:l’iconologia,per esempio,a cui Kultermann dedica uno spazio davvero troppo esiguo. In questo senso,proprio per la maggior ristrettezza dell’ambito trattato,il volume di Sciolla appare più specifico e approfondito,meno manualistico. Le differenze tra i due studi sono evidenti,però, anche per quel che riguarda il modo in cui i singoli autori sono trattati. Mi sembra evidente,per esempio,che la figura di Heinrich Wolfflin è affrontata con maggior severità da Sciolla (che infatti lascia ampio spazio alle critiche sociologiche di Arnold Hauser),mentre Kultermann è più portato a mettere maggiormente in risalto i meriti del grande studioso formalista;e oltre a questo,la differenza più importante sta nel fatto che i due autori sembrano dare maggior importanza ad aspetti diversi della speculazione di Wolfflin:Kultermann ai noti “concetti fondamentali”,Sciolla all’altrettanto noto concetto di “storia dell’arte senza nomi”- l’utilità di questo confronto,credo, è nel fatto che ci mostra la ricchezza del pensiero di un grande studioso proprio attraverso le diversità (anche piccole) con cui il suo pensiero è recepito e considerato. Questo approccio lo suggerisce lo stesso Sciolla,che molto spesso lascia la parola a storici dell’arte successivi a quelli trattati nel determinato capitolo(e questo,chiaramente, è uno degli elementi più belli e importanti del libro). E’ fisiologico che ci siano,in un opera di dimensioni estese come questa,alcuni punti che non ci trovano del tutto concordi. Quando,per esempio,l’autore scrive di Meyer Schapiro e del suo “Natura dell’arte astratta” del 1937,si legge:”egli appare indubbiamente influenzato dalla contemporanea critica americana,e in particolare da critici come Alfred H. Barr,direttore del Muesum of Modern Art di New York”;credo che questa conclusione sia inesatta:infatti quel fondamentale saggio di Schapiro nasce in contrapposizione alle tesi formaliste di Barr,come critica serrata a quella generalizzata lettura formalista dell’arte contemporanea di cui il direttore del Moma,prima dell’avvento Clement Greenberg,era negli Usa il più influente esponente. Sciolla,inoltre,inserisce Barr nel gruppo di quegli storici dell’arte “decisamente contrari al formalismo purovisibilista di un Roger Fry o di un Clive Bell”- e anche questo mi sembra strano,dato che il formalismo accomuna tutti e tre gli studiosi. In ogni caso,lo studio di questo volume non può che essere caldamente consigliato,soprattutto a chi affronta per la prima volta una disciplina tanto ricca e complessa. Il libro,anche a distanza di tempo,e anche se rivisto da un occhio diventato nel frattempo più competente,continua a sorprendere per la sua completezza e chiarezza.
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