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Anno edizione: 1978
Anno edizione: 2014
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Come e qualmente i Servitori possano e debbano disubbidire, confondere, ingannare, ridicolizzare, truffare, svergognare, umiliare i loro Padroni. Tale è l’oggetto a cui si dedica questo irresistibile trattatello, che accompagnò Swift per più di trent’anni e fu pubblicato infine nell’anno della sua morte, il 1745. Ad esso Swift confessò di dare grande importanza: e lo si può ben capire, non solo per l’incessante presenza, in queste pagine, del genio comico, ma per il loro valore in qualche modo di beffardo messaggio testamentario.
Di fatto, nell’immemoriale guerra tra Servi e Padroni, questo trattatello, pur ostentando una sventata leggerezza, segna una data davvero storica e augusta. Qui Swift ha predisposto un vero manuale di sabotaggio, che ogni lettore accorto potrà facilmente trasporre dalla cucina a tutti gli altri possibili luoghi. Mostrandoci il Servitore che vessa il Padrone e lo sfrutta in ogni modo, egli ha leso l’aureola della Sovranità ben più gravemente che con un pamphlet di immediato tema politico. E insieme ha tracciato una Piccola Antropologia del Risentimento destinata ad avere molta fortuna. Ma bisognerà anche dire che Swift non sarebbe quell’immenso artista che è se per lui l’occasione, l’esempio non valessero anche e innanzitutto di per sé: così, anche trascurando le trasparenti applicazioni ‘ad altro’ di questo testo, non si può non rimanere incantati (ed esilarati) di fronte al quadro di nefandezze domestiche, descritte in ogni loro minuzia, che Swift ci offre, condensando a volte in poche righe intere epopee di dispetti e rappresaglie che dovevano essersi depositate per secoli, insieme alla polvere nelle case patrizie inglesi.
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L'ironia è la protagonista assoluta di questo libro che è una sottile denuncia delle ingiustizie e disumanità del Settecento. Nel leggerlo l'ho trovato quasi rivoluzionario. Swift non poteva certo salire sulle barricate, nè esisteva ancora un comunismo in nome del quale combattere contro i "padroni", ma è evidente nel testo la volontà di rivolta contro un sistema, una rivolta non urlata e violenta, ma velata e ironica. Ridere e ingannare un padrone è forse il primo passo per liberarsi dalle catene della schiavitù. Conoscevo Swift solo per I viaggi di Gulliver, e pensavo quindi all’autore come dedito alla satira e all’ironia, pur non conoscendo praticamente niente della sua vita. Sono rimasto sorpreso di scoprire che ha diviso la sua esistenza tra l’Inghilterra e l’Irlanda, e ancora più sorpreso di saperlo pastore. Non mi ha sorpreso affatto, invece, la sua produzione satirica. Il libro rientra pienamente in una produzione satirica, anche se purtroppo buona parte dell’umorismo si perde a causa dei 300 anni di divario tra l’epoca in cui è stato scritto e l’epoca in cui lo leggiamo. E soprattutto è un’opera incompiuta: mentre le prime sezioni sono ampie e abbastanza curate, le sezioni successive si fanno sempre più brevi e abbozzate. Ci aveva lavorato per molti anni, saltuariamente, ma è morto prima di poterlo ultimare.
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