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Ironico, ambiguo e difficile, eppure straordinariamente popolare tra i non addetti ai lavori: Jean Baudrillard (1929-2007) è stato forse l’ultimo grande outsider del pensiero francese del secondo Novecento. Sfuggendo ad ogni etichettatura e ad ogni ambito disciplinare, egli ha fluidificato la struttura del rispecchiamento: per lui l’immagine non è il riflesso del reale, perchè questo assume a sua volta un carattere fantasmatico, illusorio, immaginario. Il reale non è altro, per Baudrillard, che la sua simulazione, e, proprio in quanto simulato, esso si dissimula: finge di esistere. Ciò rende indecidibile, per il soggetto che guarda un oggetto o se stesso in uno specchio, l’indicazione dell’originale. L’unica cosa che resta è lo specchio medesimo nella sua funzione dissimulatoria, cioè, alla lettera, ironica: riflettente e allo stesso tempo nullificante, perchè ormai priva di referenzialità oggettiva. L’Occidente si riflette oggi in uno specchio che esso stesso ha costruito, la superficie fantasmagorico-narcisistica del virtuale e dell’economia globale, venendone letteralmente risucchiato: non sa più qual è il riflesso e quale l’originale, il reale. Ma la metafora dello specchio funziona anche per indicare l’operazione teorica compiuta da Baudrillard. Il suo pensiero è simile ad una lente in frantumi capace di catturare l’immagine segreta dell’Occidente, il suo doppio malefico. Se la specularità del virtuale dissolve la differenza tra oggetto e immagine riflessa, se i media risucchiano la realtà grazie alla sua clonazione compulsiva, Baudrillard mostra il lato insopportabile di questa dissimulazione del reale: le sue crepe, le sue rughe, la sua banale mostruosità ma anche la sua inquietante, fatale bellezza.
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