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"Bouncer" è un drammone alla Jodorowsky, solo incidentalmente ambientato nel West: potrebbe benissimo svolgersi in un'altra epoca, in un altro luogo, perché non ha proprio niente di "storico", ed è invece infarcito degli stilemi pazzerelli a cui il cileno ci ha abituati per bene, in ragione dei quali Jodorowsky piega costantemente lo scenario per i propri scopi. Il protagonista è il bouncer (cioè il “buttafuori") del saloon Infierno di Barro City, noto semplicemente, appunto, con il nome "Bouncer". Privo di un braccio, ma non per questo meno letale con una pistola in mano (e anche la lingua sa essere parecchio affilata), ha a che fare tutti i giorni non solo con i problemi che riguardano il saloon dove lavora, ma anche con quelli della disgraziatissima città in cui vive, dove si vedono tipi e situazioni di tutti i colori (letteralmente): fallita la giustizia "legale" delle autorità cittadine, infatti, è a lui che la gente si rivolge per risolvere le proprie beghe. Dicevo, gli stilemi di Jodorowsky: ultraviolenza, personaggi assurdi (un boia che nel tempo libero si diverte con il sado-maso, o un tizio che se ne va in giro con un'accetta conficcata nella testa – Axe-Head, un nome, una garanzia –, sono solo alcuni esempi della "varia" umanità che anima queste pagine), situazioni al limite del grottesco. Rispetto ad altri suoi fumetti (ma in generale ad altre sue opere: basti pensare a El Topo), qui si trattiene parecchio, ma questo non vuol dire che la sua sia una narrazione propriamente "canonica". "Bouncer" è diviso in tre cicli. Questo primo ciclo di episodi (gli album francesi 1-5) è semplicemente spettacolare: al centro, la complicatissima situazione di Barro City, che vede contrapporsi proprietari terrieri, pellerossa serial killer, ex confederati prestatisi al brigantaggio. Sparatorie in notturna, faide fraterne, graziose cinesine che passano tutto il tempo a snocciolare proverbi: c'è TUTTO quel che si può desiderare, e anche di più. Una lettura esaltante e divertentissima, stra-promossa, impreziosita dai disegni di un Boucq in formissima (forse così bravo solo nel bellissimo "La moglie del mago", uscito per i tipi di Comma22). L’edizione della Magic Press è buona e la traduzione è adeguata, per quanto il formato non sia il massimo per godere dei disegni di Boucq.
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