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Anno edizione: 1979
Anno edizione: 2020
Anno edizione: 2020
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Scienza e dominio si intrecciano ormai in modo inestricabile. Ma «perché il dominio non deve essere esercitato? ed esercitato senza limiti? Forse perché finisce col violare i diritti dell’uomo? Ma quale conoscenza è ormai in grado di mostrare i veri diritti e di stabilire il vero limite che divide il diritto dalla stortura dell’uomo?». Con queste domande felicemente provocatorie, Severino avvia un’indagine stringente e acutissima, che vuole isolare il senso specifico in cui oggi la scienza parla di legge e di caso – e insieme risalire alla sua lontana origine, che è nella nascita del pensiero greco. Perché lì si forma la tensione che attanaglia tutto il pensiero dell’Occidente: da una parte l’affermazione inaudita del divenire in quanto «irruzione dell’imprevisto», in quanto caso che dal niente passa all’essere – e non solo è imprevisto ma imprevedibile, perché «è impossibile una previsione del niente»; dall’altra la radicale «volontà di salvarsi dalla minaccia di divenire», che si esprime nell’epistéme, in quanto esorcismo conoscitivo che si fonda sull’«incantesimo degli immutabili». Ma quest’ultima forma della conoscenza si è rivelata inadeguata di fronte all’avida volontà di dominio della scienza: anche le ultime larve di «immutabili», segnali di una verità incontrovertibile, sono state dissolte da una speculazione e da una pratica tecnica con cui la scienza raggiunge oggi «la forma più radicale di dominio proprio perché si espone al caso, cioè distrugge gli immutabili che lo rendono impensabile». Ma così si afferma anche «l’alienazione più abissale»: «la persuasione e insieme la volontà che le cose della terra, in quanto cose, siano niente». È un percorso lucidissimo, di bruciante evidenza, in cui Severino ha addensato molti temi che il suo pensiero sta articolando ormai da anni.
Il libro contiene anche un lungo saggio su Carnap.
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