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Questo libro porta la firma di Lionello Venturi,uno dei maggiori critici d’arte del novecento;e nell’ambito della speculazione critica venturiana, il volume occupa un posto assolutamente centrale: per cui,sarebbe in errore chiunque ricercasse da queste pagine una agevole lettura manualistica. L’autore vuole innanzitutto stabilire alcuni criteri metodologici. Uno dei più importanti prevede l’identificazione tra storia dell’arte e critica d’arte, poiché non può esservi pensiero critico senza coscienza storica, così come non può esservi coscienza storica senza pensiero critico. Per cui,se criticismo e storicismo devo convivere nella medesima misura per poter giungere al giudizio, sarà necessario avere ben chiara la storia delle idee estetiche dei vari periodi storici ( da questa conoscenza si parte per determinare il gusto dell’epoca- e il concetto di gusto,com’è noto, è uno dei concetti più importanti della critica venturiana); e sarà necessario il soffermarsi sull’opera d’arte in quanto tale, secondo la formula di Adolfo Venturi del <<vedere e rivedere>>. Lionello Venturi scrive una storia critica della critica d’arte; una storia,quindi,in cui non mancano giudizi a volte addirittura velenosi nei confronti di alcuni importanti storici dell’arte e di intere epoche storico-artistiche: è il caso del Neoclassicismo,che fondandosi sul doppio errore,storico ed estetico, di Winckelmann, viene considerato come un periodo artisticamente morto. E Winckelmann,per Venturi,ha commesso un errore forse anche più grave:l’aver separato la critica d’arte dall’arte contemporanea; l’aver interrotto,quindi,quel processo che sempre,da Senocrate a Vasari,da Bellori a Diderot,aveva fondato il giudizio sull’arte del passato sulla base delle esperienze artistiche della propria contemporaneità (per esempio,Bellori guardava a Raffaello attraverso l’esperienza dei Carracci). In questo modo Winckelmann e la critica neoclassica hanno voltato le spalle anche alle migliori manifestazioni dell’arte del loro tempo,ponendole in uno stato di perenne e irriducibile inferiorità rispetto a quel mondo classico enfatizzato e mitizzato,oltre che travisato. Il danno è stato fatto innanzitutto all’arte loro contemporanea,i cui possibili sviluppi gli sono stati negati in nome di una estetica classica fittizia e dominante. Per Venturi,quindi,un’altro criterio imprescindibile è quello di una critica d’arte che si fondi sull’arte del proprio tempo, e che dia,conseguentemente a tale fondazione,nuova vitalità e attualità al passato. Egli,quindi,non può non esaltare il ruolo della critica francese dell’ottocento,e in particolare quello di Baudelaire,che ha saputo far tornare la critica sulla “retta via” basando la propria speculazione sull’arte di Delacroix- a Baudelaire Venturi si rifà, inoltrè,nel momento in cui afferma l’essenza passionale e parziale <<di ogni critica viva>>. Il ripristino di una critica d’arte che guardi il passato con gli occhi dell’arte contemporanea è confermato,secondo Venturi,anche dall’esperienza della più recente critica formalista:<< In modo parallelo all’arte moderna- scrive nelle pagine conclusive del volume -anche la critica ha cioè saputo escludere dai valori dell’arte quelli che erano dovuti soltanto all’associazione con la nostra esperienza della realtà>>- confermando così che anche Venturi pensa l’arte contemporanea in termini formalisti. Leggere questo libro è importante anche perché esso,come accennavo all’inizio,è un tassello fondamentale nell’evoluzione della critica venturiana,poiché, come spiega Nello Ponente nella prefazione,con esso Venturi è riuscito ad innestare nel suo idealismo i metodi della pura visibilità.
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