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Questo romanzo uscì più di trent’anni fa, nel 1980, in un’Italia abissalmente lontana da quella di oggi. I due autori provenivano dalle fila dell’estrema sinistra. Il primo, Marco Lombardo-Radice, giovane psichiatra, figlio di un intellettuale molto vicino al Pci, aveva scritto anni prima, insieme a Lidia Ravera, un libro dallo strabiliante successo, Porci con le ali, pubblicato dall’editore Savelli con i due pseudonimi di Rocco e Antonia. Il secondo, Luigi Manconi, era stato invece un dirigente di Lotta continua e aveva preso parte per almeno decennio al dibattito politico-intellettuale del ‘movimento’. Alla fine degli anni Settanta, Lombardo-Radice e Manconi si impegnarono a scrivere a quattro mani questo noir, di recente ripubblicato, il cui protagonista si chiama Luigi Longo: un poliziotto, che ovviamente non ha nulla a che vedere con il dirigente del Pci, che appare simile a una sorta di ‘pugile suonato’ e che sembra muoversi quasi solo per forza di inerzia. Letto a trent’anni di distanza, come ha notato fra l’altro anche Giampiero Mughini, il libro rimane estremamente godibile. La trama, che di per sé non risulta particolarmente elaborata, risulta influenzata più dal ‘giallo metafisico’ di Sciascia, che dal noir metropolitano di Scerbanenco, o da altri modelli che proprio in quegli anni prendevano forma. Ma questo non toglie freschezza all’esperimento. Oltre a essere un precursore del noir contemporaneo, il libro di Lombardo-Radice e Manconi è infatti anche un viaggio dentro l’Italia della fine degli anni Settanta. Un viaggio in cui, come ha notato Damiano Palano, le peregrinazioni di Luigi Longo, non appaiono poi così diverse da quelle – politiche e intellettuali – dei due autori del romanzo. Da rileggere per chi lo fece trent’anni fa. E da leggere per la prima volta per quanti allora non erano nati.
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