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Anno edizione: 2015
Anno edizione: 2010
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Davvero poche parole da spendere per questo libro. Bello e divertente. Una storia che assomiglia a un giallo. Un giallo che sfiora il romanzo. Tutto ambientato in Terra Sarda, infarcito di quel po’ di dialetto, il racconto si insinua tra panorami e passeggiate. Un avvocato ostinato e divertente... con quel fare che potrebbe far coppia con Montalbano. Un colpevole latitante che sembra non voler aiuto, tanto oramai è tutto perso. La trama rispecchia in tutto e per tutto un territorio dalle antiche tradizioni dove anche i protagonisti sono chiusi in se stessi e vivono di quello che la loro terra può offrire. Piacevole. Peccato che sia cosi breve. Una chiusura stupenda
Siamo a Nuoro, alla fine dell’ Ottocento, su quelle colline in cui Bastianu, avvocato di provincia, ama passeggiare. Il suo sempre caro (di leopardiana memoria) come lui ama chiamare quella quotidiana camminata verso il colle, sul quale si reca per difendersi dalla calura estiva. Perché in Sardegna... “quando fa caldo, fa caldo”. Ma quel giorno l’hanno visto pensieroso, l' abbocà, mentre s’incamminava, come d’abitudine. E difatti aveva una brutta faccenda per la testa. Un giovane pastore, bello come il sole (e gli uomini belli, da queste parti, suscitano diffidenza) ha rubato qualche agnello del padrone… e si è dato alla macchia. Zenobi non ritorna e, nel frattempo, verranno uccisi due uomini, legati a doppio filo alla vicenda. La storia si complica e la latitanza, si sa, è considerata indice di colpevolezza. TUTTI, alla fine, saranno pronti ad archiviare la vicenda condannando, senza possibilità d’appello, il pastore. Tutti, tranne la madre di Zenobi, tranne la sua Sisinnia… e, soprattutto, tranne Bastianu, l’abbocà, che si improvviserà investigatore per rimettere al proprio posto le tessere del puzzle. C'è dietro una storia di denaro, manco a dirlo. Di terreni e di interessi. Una storia come tante. Ma lui, Marcello Fois (nuorese, classe1960), questa storia la racconta bene. Un libriccino di meno di 100 pagine che finisci in un batter di ciglia grazie ad uno stile narrativo godibilissimo che ho trovato, a sprazzi, molto poetico. Uno stile che fa numerose concessioni al dialetto sardo ma lo fa con tale sapienza da renderlo inspiegabilmente chiaro.... anche se, di primo acchito, parrebbe intraducibile. E, secondo me, questa storia Fois la racconta bene, perché è riuscito a farmi respirare il clima di una Sardegna di fine Ottocento, corpo estraneo nell’Italia appena unificata. Un’appendice del Regno, lontana (troppo lontana) dal "continente" e gestita come fosse un'emergenza. E poi ... mi ha fatto provare l'incanto della bellezza della sua terra di cui ho percepito l’immensità, vista da lassù, da quel colle, dal suo "sempre caro".
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