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Anno edizione: 2017
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Quasi un viaggio fuori dal corpo, dopo, per vedere le cose dall'alto in modo distaccato ma più consapevole: le pagine poetiche con le quali si conclude il romanzo breve di Marco Longhi sono un inno alla vita, a quella attiva, solidale, altruistica, a quell'unica vita, su questo mondo, degna di essere vissuta. Il viaggio senza ritorno del protagonista, il cui spirito invece non muore e osserva con amorevolezza i suoi compagni di viaggio che invece tornano, dalla Svizzera in Italia, per riprendere la loro solita vita. Un atto di amore per la vita propria e altrui, soprattutto della consorte, che non meritava di vedere il coniuge spegnersi a poco a poco nella tortura di una malattia progressiva e inarrestabile e poi degli amici, dei propri veri amici, che gli erano stati sempre vicino. Un romanzo breve sull'etica del vivere dignitosamente, e chi muore veramente è la s.l.a., non trovando più un copro da distruggere lentamente e inesorabilmente. Il libro era esposto durante il convegno milanese di Exit-Italia dell'11 marzo 2017 e così ne comprai un esemplare. Ne ho apprezzato subito lo stile narrativo, che non indulge mai al pietismo pur descrivendo ogni istante della dannata afflizione del protagonista. Un viaggio in Svizzera perché in Italia non c'è ancora una legge che consideri l’azione pietosa di anticipare la fine della vita su richiesta del malato inguaribile come una cura dovuta - che soddisfi un riconosciuto diritto di autodeterminazione - e non come un atto omicida da depenalizzare. Perché nessuno può decidere al posto di un altro se una vita è degna di essere vissuta, e il concetto di “qualità della vita” non può che essere e restare soggettivo. Questo è vero se si vuole vivere, ed è vero se si vuole morire. In entrambi i casi tutte le risorse della scienza medica devono essere messe a disposizione della volontà del malato, che va considerata rispettabile e sovrana. Nel primo caso, quello dell'uomo che vuol vivere nonostante le sofferenze, non deve essere lasciato nulla d'intentato per prolungargli la vita, fosse pure di un'ora soltanto. Nel secondo caso, la scienza deve trovare il coraggio di anticipare la morte desiderata, e la società civile deve abbandonare il ruolo di guardiana (per conto di chi? di che cosa?) di una vita torturata e non più voluta. Se diciamo basta alla concezione di eutanasia così come è stata tramandata nei secoli, diciamo anche basta a tutta una galassia di vicende oscure, dalle eutanasie clandestine alle interminabili sofferenze dei malati che non ottengono il "permesso" di morire. Giovanni Bonomo - associato Exit Italia
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