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La sempre più rapida evoluzione della scienza medica ha generato, negli ultimi decenni, un fenomeno nuovo, con il quale si confrontano oggi scienziati, filosofi, giuristi e politici. L'adozione e la sperimentazione di tecniche sempre più elaborate di cura e di intervento non ha soltanto prodotto incroci disciplinari sofisticati e complessi, come ad esempio l'ingegneria genetica, ma soprattutto ha modificato e sta modificando le nostre visioni e le nostre percezioni della vita e della morte, spostando in continuazione i confini dell'intervento umano - e delle scelte individuali - riconosciuti come legittimi dalla nostra cultura. Eppure, i problemi etici sollevati dalla ricerca medica e dalle biotecnologie vengono perlopiù discussi astrattamente, senza concreti riferimenti a quei contesti politici, sociali e culturali in cui essi si verificano. È questo il punto di partenza delle riflessioni di Max Charlesworth, filosofo tra i maggiori dell'area anglosassone, che si interroga sui grandi problemi della bioetica contemporanea - l'idea di morte e del «diritto alla morte», l'eutanasia, le tecnologie riproduttive come la fecondazione in vitro o la maternità surrogata, la distribuzione delle risorse in campo sanitario - nei suoi concreti rapporti con le società liberali, individualistiche e pluralistiche in cui viviamo. Società in cui, nota Charlesworth, le contraddizioni sono numerose e pericolose: società in cui l'intervento dello Stato, attraverso i suoi strumenti legislativi, in campo bioetico svela radicate vocazioni paternalistiche e autoritarie. La varietà delle istanze e dei valori culturali, religiosi e politici espressi dalle società liberali, dove l'autonomia personale e la libertà di scelta sono il valore supremo, impone invece di riconsiderare i dilemmi della bioetica alla luce di un rinnovato rispetto per il multiculturalismo e la democrazia.
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