Un romanzo intenso che ritrae, attraverso la storia delle due protagoniste, la giovane Maria e l'anziana Tzia Bonaria, ( l'una figlia adottiva dell'altra ) la società arcaica e ricca di tradizioni, talora anche spietate, ben radicate nella Sardegna degli anni Cinquanta.
La trama si svolge quasi esclusivamente in un paesino dell'entroterra, incastonato in una natura la cui asprezza incontaminata è simile al proprio contesto antropologico. Qui regole comportamentali e codici non scritti, trasmessi in dote da una generazione all'altra da tempo immemorabile e avvalorati dalla prassi condivisa, non ammettono eccezioni né violazioni; l'appartenenza e la fedeltà ad una cultura, ancestrale per certi aspetti, è percepita come garanzia inalienabile dell'identità locale.
L'intera vicenda, che oltre al rapporto madre-figlia, abbraccia situazioni, persone e "riti" ( sacri e profani ) specifici di un'intera comunità rurale, assume valore molto più ampio soprattutto grazie a certi dialoghi che, mettendo a nudo l'anima dei personaggi nonché le divergenze generazionali, risultano particolarmente incisivi dal punto di vista emotivo.
Il grande merito dell'intera narrazione, ( opera originale della scrittrice ma ricalcata verosimilmente su fatti storici documentati ) rimane soprattutto legato al delicato tema, ancora attualissimo e dibattuto, dell'eutanasia: Michela Murgia è riuscita non solo a coinvolgere i lettori - senza ricorrere peraltro ad inutili patetismi - ma soprattutto a proiettare fuori dal romanzo ( pubblicato nel 2009 ) i temi civili che riguardano da una parte le responsabilità etico-morali di chi deve decidere e, dall'altra, la volontà e la dignità di chi si trova, irreversibilmente, in fin di vita.
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Descrizione
Perché Maria sia finita a vivere in casa di Bonaria Urrai, è un mistero che a Soreni si fa fatica a comprendere. La vecchia e la bambina camminano per le strade del paese seguite da uno strascico di commenti malevoli, eppure è così semplice: Tzia Bonaria ha preso Maria con sé, la farà crescere e ne farà la sua erede, chiedendole in cambio la presenza e la cura per quando sarà lei ad averne bisogno. Quarta figlia femmina di madre vedova, Maria è abituata a pensarsi, lei per prima, come "l'ultima". Per questo non finiscono di sorprenderla il rispetto e le attenzioni della vecchia sarta del paese, che le ha offerto una casa e un futuro, ma soprattutto la lascia vivere e non sembra desiderare niente al posto suo. "Tutt'a un tratto era come se fosse stato sempre così, anima e fili'e anima, un modo meno colpevole di essere madre e figlia". Eppure c'è qualcosa in questa vecchia vestita di nero e nei suoi silenzi lunghi, c'è un'aura misteriosa che l'accompagna, insieme a quell'ombra di spavento che accende negli occhi di chi la incontra. Ci sono uscite notturne che Maria intercetta ma non capisce, e una sapienza quasi millenaria riguardo alle cose della vita e della morte. Quello che tutti sanno e che Maria non immagina, è che Tzia Bonaria Urrai cuce gli abiti e conforta gli animi, conosce i sortilegi e le fatture, ma quando è necessario è pronta a entrare nelle case per portare una morte pietosa. Il suo è il gesto amorevole e finale dell'accabadora, l'ultima madre.
Video Recensioni
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Recensioni
Totale delle Recensioni
"... la ragazza cominciò a comprendere cosa intendeva Bonaria Urrai tre anni prima quando le aveva detto: "Non dire mai: di quest'acqua io non ne bevo". (P.152 ).
Scritto da Romanail 28 febbraio 2020L'altro volto della Sardegna
Scritto da Franceskil 23 novembre 2016 Cosa c'è in Sardegna una volta oltrepassate le spiagge bianchissime e la natura incontaminata? Cosa c'era e cosa resta di riti arcaici e sconosciuti, di tradizioni a metà tra mito e leggenda e di figure quasi incantate?
Ancora qualche decennio fa, prima che la modernità e la tecnologia cambiassero repentinamente le nostre vite, in Sardegna alcune donne erano ancora custodi di riti e consuetudini sacre che scandivano l'inizio e la fine del cerchio della vita. Tzia Bonaria è una di loro, lei è l'accabbadora, un personaggio emblematico presente in tutta in un passato non troppo lontano. Il romanzo tocca un tema ancora oggi molto dibattuto: l'eutanasia, ma non solo, ci sono frammenti di una cultura millenaria a cavallo con la modernità. I personaggi sono quasi narratori di un piccolo mondo misterioso e complesso.
Un'occasione perduta
Scritto da esigentelettriceil 20 febbraio 2020Dopo avere ultimato la lettura di Accabadora di Michea Murgia, anzi già dopo avere superato la metà, mi sono domandata come sia possibile che un romanzo così abbia vinto premi letterari, tra cui il Campiello. Proprio non mi capacito. La tematica sarebbe stata interessante, avrebbe potuto offrire molti spunti di riflessione e suscitare emozioni profonde. Invece nulla! Sembra scritto velocemente, con uno stile spesso banale (specie nella parte centrale), con spunti appena accennati e con alcuni capitoli del tutto avulsi dal contesto e per niente utili allo stesso. Peccato! Un'occasione perduta per una tematica originale.
Riconciliazione con Michela
Scritto da romualdomontenzil 17 febbraio 2020Molto buono il mio giudizio su questo scorcio di Sardegna che -chissà perché- mi ricorda la Deledda! Tema intrigante del fine vita, materia scottante, ma assai sentita e compresa nel comune sentire di molti di noi; brava la Murgia nel dare al racconto un tono di modernità insieme al rispetto di tradizioni quasi ataviche. Mi sono riconciliato con Michela dopo “Morgana”.
C'era una volta in Sardegna
Scritto da Libri Senza Gloria Blogil 05 ottobre 2019 Accabadora, edito da Einaudi esattamente dieci anni fa nel 2009, si è sin da subito imposto all’attenzione del pubblico e della critica vincendo il Premio Dessì, il SuperMondello e il Premio Campiello.
Tradotto in diverse lingue, Accabadora è il Million Dollar Baby della nostra letteratura: le drammatiche scelte di vita che ruotano attorno alla tematica dell’eutanasia. Non solo, con la sua scrittura precisa e concisa Michela Murgia, che forse guarda a Grazia Deledda, sfiora l’altro delicatissimo tema della pedofilia: lo fa senza allungare la minestra come avrebbero fatto in molti, lo fa usando tutte le parole che servono e nessuna in più.
L'ambientazione nel secondo dopoguerra ci introduce in un mondo in bianco e nero che fortunatamente assume non tonalità di grigio ma sfumature di un cupo colorato. Avvertiamo che la Sardegna nelle mani della Murgia sia più dalle parti tenebrosamente vivaci di Tim Burton, disegnata per apparire nel Paese di Halloween di Nightmare Before Christmas o nel Regno dei morti de La sposa cadavere.
E l’accabadora è un po’ “sposa cadavere”, una seconda madre che aiuta non a nascere ma a morire, colei che come Caronte traghetta i morituri verso una nuova vita. Il romanzo della Murgia rappresenta la ribalta di una mitica figura del folklore sardo ammantata da un velo di mistero, e che cela i suoi segreti dietro un termine di origine straniera (in spagnolo “acabar” significa “finire”).
A dirla tutta la giovane protagonista del romanzo, Maria Listru, vive in una favola come le più note principesse dell’Universo Disney. Queste provengono tutte da famiglie soffocanti perché legate alle tradizioni del luogo, almeno fin quando qualcosa non le strappa dalle proprie origini. Accabadora comincia con il botto: Maria viene “comprata” da Tzia Bonaria Urrai, una scura vedova (cadavere) e senza figli. La madre naturale, Anna Teresa Listru, non ci pensa due volte a cedere dietro compenso una bimba che non può mantenere (ne ha già due da sfamare). Perciò Maria diventa fillus de anima, fill’e anima, e ottiene una seconda madre.
Il Mentore di questa favola, la Tzia Bonaria Urrai che darà a Maria una seconda infanzia, è anche la Strega della storia, ma non solo perché veste costantemente di nero. Mentore, Strega ma è anche la Regina: di fronte ai suoi poteri tutti si inchinano come sudditi e ne invocano l’aiuto risolutivo. Ed è la triplice madre che farà mangiare a Maria la mela avvelenata della verità: la rottura fra le due avviene non appena Maria scopre quale sia il vero “lavoro” di Tzia, ovvero come la donna aiuti la gente sofferente a morire. E non a caso la scoperta avviene in concomitanza con il flashback in cui una piccola Maria viene sgridata da Tzia per avere mentito sul furto di un dolce.
La Sardegna risuona in questa storia come il nostrano Messico con tutte quelle affascinanti e inquietanti celebrazioni del Giorno dei Morti...
Coinvolgente
Scritto da baldilaurail 20 maggio 2018Michela Murgia affronta due temi spinosi e delicati, quelli dell’adozione e dell’eutanasia, con estrema sensibilità e con stile calzante e impeccabile e ci consente di conoscere con questo intenso e dettagliato racconto i riti spirituali e le tradizioni rurali della Sardegna degli anni 50. L’opera della scrittrice sarda è ben lungi dall’essere completa e perfetta, ma certamente non si può affermare che manchi di fascino e suggestione e di interessanti spunti di riflessione: è davvero difficile non lasciarsi coinvolgere emotivamente e moralmente da questa storia e dal modo in cui ci viene narrata.
Carino
Scritto da teresinaflaviil 18 maggio 2018Un libro curioso per certi aspetti, più che altro per le contaminazioni sarde molto forti, ma dalla Murgia, conoscendo la donna di spessore che è, mi aspettavo qualcosa di molto diverso. Sicuramente interessante è la volontà di portare e rendere noti la tradizione sarda, le sue consuetudini e i suoi misteri e in questo, lo ammetto, ci riesce bene. Trovo, invece, scarno lo stile, poco accattivante e, spesso, poco preciso.
Accabadora
Scritto da scarpette65il 13 maggio 2018 Accabadora è un piccolo libro ma molto intenso della scrittrice Michela Murgia. È una storia intensa che racconta le vicende di una bambina Maria, quarta figlia in una famiglia non benestante, che viene affidata all’età di sei anni da sua madre come figlia dell'anima a Zia Bonaria, figura controversa del paese.
Nel romanzo vengono narrate le vicende delle due donne, che diventano a tutti gli effetti madre e figlia, ma nel loro rapporto qualcosa non torna. La storia che ci viene raccontata non è un qualcosa di sorprendente, è una storia semplice come tante altre, ma a rendere il libro così interessante sono le atmosfere che la Murgia fa vivere, descrivendo una Sardegna degli anni 50, tra campi e contadini, tra credenze popolari e realtà. Un continuo scontro tra l'isola e il continente.
Si assisterà alla crescita esteriore ed interiore di Maria, i primi amori, le prime delusioni e le prime sofferenze. Accabadora è un libro molto delicato che vale assolutamente la pena di leggere.
Sorprendente
Scritto da Luigiil 28 dicembre 2017Primo libro che leggo di Michela Murgia. Stile di scrittura liscio, fluido, impeccabile. In alcuni punti amaro ma anche un po' dolce. La narrazione può risultare poco chiara dalle prime pagine, ma continuando la lettura tutto scorre in modo progressivo, in un continuum meraviglioso. Trama molto dolce e ben congegnata; spunti di riflessione sulla vita e sulla morte da cogliere e fare propri.
Ci sono cose che si fanno e cose che non si fanno
Scritto da Vincenzoil 04 dicembre 2017In questo romanzo Michela Murgia con descrizioni brevi ma precise ci catapulta nella Sardegna degli anni '50 dove l'Accabadora è colei che finisce. A partire da questa figura centrale nel racconto,si arriva velocemente alla fine della storia e ci si pone delle domande che riguardano la religione,la vita e la morte. Da un confine geografico si ha una svolta decisiva nella narrazione ma la parola "confine" ci riporta a questo romanzo intesa come labile separazione tra cosa è giusto e cosa no. Non avremo mai delle risposte a tali dilemmi ma pensarci e farci delle domande è il primo passo.
Tradizioni sarde messe su carta da una penna assolutamente brillante
Scritto da dgmary91il 01 dicembre 2017 Bellissimo.
Primo scritto della Murgia che leggo e sicuramente non sarà l'ultimo. Ho trovato in questo breve romanzo un piccolo gioiellino scritto magnificamente, una storia spesso a tinte fosche e oscure ambientata in un paesino della Sardegna degli anni '50, di cui la Murgia riesce a restituire perfettamente l'atmosfera. Sono riuscita infatti a ricreare nella mia mente senza difficoltà tutti i luoghi, i paesaggi, le case, le situazioni descritte dall'autrice nel libro proprio grazie ad uno stile di scrittura che davvero ho trovato stupefacente. Spesso mi sono ritrovata a leggere più volte dei passi del romanzo ad alta voce così da godere ancora di più del modo splendido di narrare che ha Michela Murgia, fortemente evocativo, schietto e diretto perchè fatto di parole semplici, eppure così abilmente costruito e arricchito da metafore che lo rendono ancora più affascinante. Le frasi molte volte erano brevi, secche ed immediate, però ogni singola riga ha avuto su di me un grande impatto, mi riecheggiavano in testa periodi e frasi particolarmente interessanti anche dopo aver chiuso il libro, non smettevo di meravigliarmi dell'abilità con cui una parola seguiva l'altra, il tutto studiato alla perfezione per colpire il cuore e l'attenzione del lettore, eppure non mi è risultato mai artificioso o pomposo, ma semplicemente bellissimo.
La storia narrata è molto particolare e restituisce alle pagine usi, tradizioni e figure proprie della cultura sarda di cui non sapevo assolutamente nulla e che proprio per questo mi hanno intrigato fin da subito. Sullo sfondo del piccolo paese di Soreni si muovono le vite di diversi personaggi, ma le protagoniste del romanzo sono essenzialmente due donne: Maria Listru e Bonaria Urrai e lo speciale legame che le unisce è uno dei punti chiave di tutta la storia. Maria è infatti una "fill'e anima", parte di quella schiera di bambini nati in famiglie già numerose e con troppe bocche da sfamare e che per questo viene adottata dalla vecchia Bonaria Urrai, la sarta del paese, divenendo a tutti gli effetti sua figlia, non figlia "di sangue", ma appunto figlia "dell'anima" della donna che deciderà di prendersi cura di lei fino all'ultimo giorno della sua vita. Maria cresce tra aghi e stoffe, credendo che la sua Tzia Bonaria (non la chiamerà mai mamma pur amandola profondamente) non sia altro che una semplice sarta. Bonaria Urrai è in realtà una "accabadora", altra figura caratteristica della tradizione sarda che prende il nome dal verbo spagnolo "acabar", ossia "finire", "terminare" perchè l'accabadora è proprio colei che mette fine alle sofferenze altrui, una specie di "ultima madre" che il moribondo vede prima di chiudere gli occhi per sempre.Attraverso la figura tenebrosa dell'accabadora, Michela Murgia affronta delicatamente lo spinoso e attualissimo tema dell'eutanasia e lo fa magnificamente, prima in maniera velata, lasciandolo solo intendere, poi in maniera più evidente, ma mai con l'intento di dare una lezione, di volerci insegnare qualcosa, mai imponendo al lettore l'una o l'altra prospettiva, ma lo fa solo spingendoci a riflettere per poi trarre da noi le nostre conclusioni.
Il romanzo nella sua brevità è ricchissimo di temi e di spunti di riflessione che emergono da una storia messa su carta da una penna sapiente e che a me ha davvero stupito. Se posso fare un appunto, devo dire che avrei voluto saperne di più, mi sono sentita talmente coinvolta dalla storia da desiderare ardentemente che fosse più lunga e ancora più approfondita. Ammetto che i personaggi , forse tranne Bonaria, possono apparire semplicemente abbozzati, manca un po' quello scavare nel loro animo e nella loro storia che probabilmente il lettore si aspetta, però non credo che il punto siano i personaggi, ecco perchè probabilmente la Murgia non dedica pagine intere ad una loro introspezione. Credo che l'autrice se ne sia servita per parlarci di qualcosa di più grande, di temi complessi, di tradizioni ormai dimenticate o completamente sconosciute e devo dire che ci riesce magnificamente.
L'eutanasia e la Sardegna "quella vera" !
Scritto da Elisabettail 29 novembre 2017 Ho amato questo libro anche perchè mi ha fatto scoprire la Sardegna vera, non quella che vediamo d’estate, ma quella della gente che ci vive tutto l’anno con le atmosfere anni Cinquanta. La forza della Murgia è la poetica. La sua scrittura è ricercata, ogni parola è evocativa di suoni, sensazioni, ricordi e vissuti. Questo libro è pieno di opinioni, saggezza e punti di vista. Condivisibili o meno poco importa sono rispettabili già solo perchè presenti. Odio gli scrittori che non hanno nulla da dire o, peggio, esprimono solo banalità spacciandole per antica saggezza.
La Murgia dipinge lo spaccato della vita in un paesino d’invenzione e delle regole sociali che lo governano. Le protagoniste sono due, ma tutti i personaggi hanno qualcosa da dire, una propria moralità, un proprio carattere e quindi una meravigliosa completezza.
Ottimo dalla prima all'ultima pagina
Scritto da Giovanniil 28 novembre 2017 Primo romanzo di Michela Murgia che leggo, narra la storia di Maria, ultimogenita di una famiglia di 4 figlie femmine, madre vedova, che viene data in "adozione" a Bonaria Urrai, l'accabadora di un paesino dell'entroterra sardo. L'accabadora è colei che finisce, l'ultima madre che regala una morte rapida a chi è sul punto di trapassare. Non rivelerò altro del romanzo, perché molto breve.
Non so ancora dire se il libro mi sia piaciuto o meno. La prima parte mi ha preso molto, l'atmosfera del paesino e dei suoi riti è molto vivida e la storia è coinvolgente. Poi, a mio parere, si perde un pochino, come se l'autrice avesse fretta di portare a termine il romanzo raccogliendo eventi salienti negli ultimi capitoli. Finale un po' scontato.
"Accabadora"
Scritto da nellipatriil 28 luglio 2017Questo libro e la sua autrice non hanno bisogno della mia recensione...io posso solo consigliarvelo sinceramente: leggetelo, non può mancare fra le vostre letture
Il miglior libro della Murgia
Scritto da Claudiail 12 marzo 2017 Questo romanzo racconta la storia di Tzia Bonaria e di Maria, da lei adottata come una cosiddetta "filla de anima", cioè "i bambini generati due volte, dalla povertà di una donna e dalla sterilità dell'altra". Le due donne creano un rapporto intenso, seppur Maria non riesca a comprendere fino in fondo la madre. Un giorno un'amica le svelerà cosa fa realmente la donna, ovvero l'accabadora (non svelo ai lettori cosa sia) e da lì tutto cambia.
Consigliatissimo per la trama, per le riflessioni che suscita e per le incursioni nella Sardegna più arcaica (e autentica), arricchite anche da excursus culinari.
Saggezza sarda
Scritto da landikkil 08 marzo 2017Mentre ai giorni nostri ancora non esiste una legge che regoli in maniera adeguata l'eutanasia, il popolo sardo, in tutta la sua infinita saggezza, aveva (e forse ha) l'accabadora, la madre pietosa che mette fine alla vita di coloro che lo richiedono. Un libro che permette di conoscere meglio una figura quasi mitologica della tradizione sarda, sulla quale ancora oggi si nutrono dei dubbi. Bella storia, indubbiamente, peccato non abbia trovato questa autrice all'altezza di un libro che poteva spiccare davvero il volo (e non lo fa).
Consigliato
Scritto da claudiettis1il 07 marzo 2017Questo libro mi ha lasciato molto l'amaro in bocca. Non so se mi sia realmente piaciuto, ma le riflessioni che comporta questa lettura sono intense e molto importanti. Lo stile dell'autrice è molto semplice, ma la accabadora è un personaggio indimenticabile, una Madre della vita e della morte, l'ultima pietosa compagna. Grazie a questo libro ho scoperto una figura antropologica unica e meravigliosa, che non pensavo esistesse, e che è sinonimo di civiltà e di scelta di un popolo.
Intenso
Scritto da Agneseil 06 marzo 2017 Questo libro descrive la vita di una donna che ha scelto di ricoprire uno dei ruoli più difficili che si possano ricoprire. Portare sollievo dove c'è sofferenza, concedere la "pace", concedere una "morte con dignità". Molti potranno essere contrari, giudicarla una scelta poco etica, ma è uno spaccato della realtà presente in molte culture.
Una storia che a apre a riflessioni profonde, soprattutto in un paese (come l'Italia) dove la legge non garantisce (anzi, vieta) questa scelta.
un grande libro di una grande scrittrice
Scritto da SABRINAil 03 marzo 2017 Da lettrice sarda posso solo dire di essere fiera di avere tra noi il genio di Michela Murgia. Il suo modo di scrivere è coinvolgente e riesce a catturare momenti durante il rito de s'Accabadora da far rabbrividire. Ha saputo trattare un argomento così delicato con cura nei particolari e non facendolo cadere in giudizi negativi.
Leggendo la storia sono tornata indietro nel tempo, pensando a quando questi riti ancora esistevano e se ne "faceva uso". Ricordo un racconto di una persona ormai non più in vita che ricorda s'Accabadora, ma che (essendo ancora lei piccola) le veniva raccontato fosse solo una donna di preghiera, ma troppe cose coincidevano.
Un racconto scritto in modo impeccabile, da una grande Autrice. Grazie.
OTTIMO
Scritto da Serenail 03 marzo 2017E' il primo libro che leggo della Murgia e non posso che dare un giudizio positivissimo. Questa è la storia di un paese, delle sue donne, della sua cultura, ma è anche la storia del nostro presente. Argomento da sempre Tabù ma da sempre esistito. Inutile sfuggire al dibattito, nell'ombra le "accabadora" vanno avanti nella loro missione. Coinvolgente. Da qui è partita la mia passione per le scrittrici sarde!
L'ultima madre
Scritto da f.potoil 02 marzo 2017Una piccola perla questo libro di Michela Murgia. Quali atmosfere meravigliose eppure incredibilmente reali ci permette di attraversare? Questo libro mi è stato regalato , non è una precisazione inutile, serve a dire che non l'avrei acquistato probabilmente, non avrei compreso il significato di questa parola ormai in disuso e che pure mi ha colpito tanto. Questa ultima madre ed il suo gesto incredibilmente compassionevole , profondamente etico , questa buona morte consegnata da mani sapienti e consapevoli. Un tema sicuramente attuale , un libro assolutamente da leggere per comprendere a fondo il valore culturale ed etico di temi trattati odiernamente solo da un punto di vista giuridico e religioso. Nello stile è impossibile non riconoscere l'influenza della Deledda.
Accabadora e Sardegna
Scritto da aldoalvaro1971il 01 marzo 2017Argomento di stampo antropologico molto interessante, che però a mio parere non viene sviluppato in maniera interessante. Ho trovato lo stile della Murgia alquanto blando, senza particolare spessore, specie nella parte finale del libro. La figura quasi mitologica dell'accabadora poteva diventare reale e invece si ferma alla bidimensionalità dell'astrazione, lasciando il lettore spiazzato e non soddisfatto, alla ricerca di qualcosa che nell'opera non troverà. Interessanti le “incursioni” culinarie dell'opera, utili per conoscere, almeno in parte, la ricca tradizione dolciaria della Sardegna.
Evocativo e delicato
Scritto da Elenail 26 novembre 2016 Ho le stesse origini dell’autrice, e in questo meraviglioso libro ho ritrovato tutte le atmosfere della mia infanzia, con un tuffo al cuore quando ho ritrovato la filastrocca sulle dita della mano, filastrocca che ho poi insegnato, con grande divertimento, alle mie nipotine siciliane. La narrazione è fluida, la voce narrante è assolutamente credibile. Il titolo, che è in sardo, si riferisce alla protagonista del romanzo, Tzia Bonaria, significa “colei che finisce”, ma non svelo altro. Il romanzo è ambientato nella Sardegna degli anni ’50, un mondo che per noi appare lontanissimo; eppure una dei punti di forza di questo testo è proprio quello di porre, con estrema delicatezza, questioni di estrema attualità.
Questa edizione ha, inoltre, un prezzo assolutamente abbordabile.
Consigliatissimo.
inaspettata attualita
Scritto da giupino76il 25 novembre 2016 storia tutta al femminile ambientata nella sardegna degli anni 50, la scrittura e la storia ti trascina piacevolmente pensavo ad un'italia che non esiste più e con leggerezza tratta cio che oggi si chiama eutanasia.
Ciò che ho apprezzato e conoscere l'usanza dei fill'e anima (figli dell'anima), cioè bambini adottati senza alcuna regolamentazione giuridica, che venivano cresciuti dai genitori adottivi ma senza perdere contatti con i genitori naturali, e il bello era che i fill'e anima rispettavano entrambe le famiglie. cosa forse impensabile e impossibile da realizzare oggi.
la parentesi torinese non mi stava piacendo ma a fine lettura ha avuto un suo perche.
bello
Scritto da GAIAil 25 novembre 2016il primo che ho letto e sicuramente il migliore libro di Michela Murgia. Un tema molto attuale trattato con infinita delicatezza dall'autrice, senza mai esprimere giudizi o sentenze. Una protagonista che per certi versi appare estremamente dura e per altri infinitamente dolce. Finale aperto perché come in tutto il libro anche alla fine non si deve giudicare
Tra i migliori che abbia mai letto.
Scritto da Sabrinail 25 novembre 2016La Murgia non delude le mie aspettative nemmeno questa volta. Ho letto con passione la storia di Maria e di Bonaria, L'Accabadora. Ho amato ogni singola pagina e parola. L'ambientazione è quella tipica dell'Italia meridionale, un paese chiuso in se stesso, ermetico, dove la gente ne è lo specchio, impenetrabile. I personaggi sono così come vengono descritti, vivono della terra e della sua essenza. I cambiamenti non sono ben visti e sono sulla bocca di tutti. I segreti circolano da anni ma solo quando vengono scoperti rivelano tutta la loro realtà, sconvolgendo e allontanando, e alla fine unendo grazie all'amore sconfinato. Un romanzo imperdibile e perfetto nella forma e nella scrittura. Una narrazione per me introvabile in altri autori.
Piacevole scoperta
Scritto da sirlaporil 22 novembre 2016 Ad essere sincera, ho sempre avuto una sorta di pregiudizio nei confronti della letteratura italiana. Ma questo romanzo mi ha dato modo di cambiare idea. Ho apprezzato particolarmente lo stile della Murgia, in grado di trattare con delicatezza temi pesanti come l'eutanasia.
Consiglio vivamente la lettura di questa meravigliosa opera letteraria.
L'ultima madre
Scritto da FLAVIAil 19 maggio 2016Bonaria Urrai, sembra già portare nel nome il riflesso di quella pietà e benevolenza verso il prossimo che la porterà a scegliere di essere madre adottiva della piccola e trascurata Maria (sua “fill’e anima”), ma anche “ultima madre” di quanti a lei, disperati, si rivolgeranno. Pietà che non è mai delitto, a meno che come Nicola Bastiu, si cerchi “disperatamente non la pace, ma un complice”. Eppure, verrebbe da chiedersi: “che valore ha la dignità, che prezzo le si deve pagare?”. Un tema sempre attuale, trattato dalla Murgia con delicatezza e quasi pudore, come se la morte, pur nella sua accezione - qui suggerita - di liberazione, sia comunque sacra e quasi impronunciabile.
TREMENDAMENTE ATTUALE
Scritto da minoil 14 maggio 2016Un libro coinvolgente, scorrevole alla lettura,ce tratta un un tema profondamente attuale e sentito come quello dell'eutanasia in maniera naturale e realistica. Michela Murgia ha saputo descrivere l'importanza della figura dell'accabadora nella Sardegna lasciando emergere la naturale importanza che questa figura riveste. L'accabadira può essere in questo testo considerata una seconda mamma che toglie la vita a chi è realmente consenziente e vuole smettere di soffrire, in quanto padrone di se e del proprio destino.
Sono di parte
Scritto da ninnula88il 05 maggio 2016Michela Murgia è sarda come me e ovviamente ho letto questo libro perchè son fiera di essere sarda e Michela me lo ricorda ogni volta che leggo anche una sola frase dei suoi libri. Ho sempre adorato l'accabadora e il mistero della sua leggenda, questo libro è semplicemente meraviglioso. Tzia Bonaria ha una doppia vita di giorno fa la sarta e di notte pratica l'eutanasia, un tema molto tabù nei giorni nostri. Ambientato in una Sardegna rurale degli anni 50, consigliato a chi vuole immergersi in questo grande mistero che l'Accabadora porta con se
laFeltrinelli Libri e Musica - Parma
Scritto da il 21 ottobre 2018Un libro che sa di semplicità, dentro un mondo di magia e mistero, che sa di tradizione e di Sardegna.
Dettagli
- Listino:€ 12,00
- Editore:Einaudi
- Collana:Super ET
- Data uscita:20/05/2014
- Pagine:166
- Formato:Tascabile
- Lingua:Italiano
- EAN:9788806221898
Parole chiave laFeltrinelli:
narrativa moderna e contemporanea (dopo il 1945), telomareinaudi2018