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Secondo la profezia di Malachia, l’ultimo pontefice si chiamerà Pietro II: pochi anni ci dividono da lui, e il suo papato porrà il sigillo alla storia della Chiesa. Vecchio e deluso, angosciato dal mancato compimento dell’annuncio di salvezza tramandato lungo i millenni e dal presentimento della fine della storia, Pietro II scrive due encicliche. La prima – Resurrectio mortuorum – riafferma alla lettera la più radicale e sconcertante verità cristiana, la promessa più ardita e irrinunciabile della fede: la resurrezione dei morti. La seconda espone e interpreta quel Mysterium iniquitatis di cui Paolo ha scritto profetizzando la grande apostasia finale e sul quale la Chiesa, nel suo insegnamento, ha sempre taciuto. Non a caso: secondo l’esegesi del suo ultimo papa, infatti, è innanzitutto nella Chiesa – baluardo contro il male – che il male stesso si annida. E così la seconda enciclica di Pietro II si conclude con parole che sanciscono solennemente «il dogma del fallimento del cristianesimo nella storia del mondo». Subito dopo tali durissime rivelazioni Pietro II sale all’interno della cupola di San Pietro e muore precipitando all’incrocio dei bracci della croce, «nel luogo dei falsi trionfi, là dov’è anche sepolto il pescatore di Galilea». È questa la traccia di una «storia dell’ultimo papa» che ha ossessionato Quinzio per anni, da quando ne scrisse per la prima volta in La croce e il nulla. Rinunciando a ogni impalcatura narrativa, Quinzio ha finalmente deciso di prestare all’ultimo papa, alla fine dell’ultimo millennio, i suoi pensieri e le sue parole – e ha voluto accompagnare le due encicliche di Pietro II con una breve e lucidissima analisi di sé. E proprio questa rinuncia dà ancora maggiore evidenza alla natura drammatica e sconvolgente dell’interrogativo, perennemente eluso, sulla morte e sul male.
Mysterium iniquitatis è apparso per la prima volta nel 1995.
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