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Assieme a Doris Lessing, Nadine Gordimer è l'altra voce femminile bianca della letteratura sudafricana che ci narra le incertezze e i tormenti, le ipocrisie e le tragedie di quella società. Toby Hood, il protagonista di Un mondo di stranieri, è un inglese che si confronta col mondo dei bianchi (gli ‟stranieri”) di Johannesburg, un giovane intellettuale pieno di disponibilità e di voglia di vivere: "Voglio vedere la gente che mi interessa e mi diverte, nera, bianca e di qualsiasi colore. Voglio preoccuparmi io delle mie relazioni personali con gli uomini e le donne che incontro e mandare al diavolo le astrazioni della razza e della politica...". Ma la società dei bianchi non glielo permette. Un suo amico nero, Steven, viene ucciso dalla polizia; una avvocatessa nera - uno dei più bei personaggi del romanzo - gli chiarisce le idee; e un altro giovane nero, Sam, gli dirà, quando alla fine deve rientrare in patria e promette di tornare: "Chi può saperlo?... Chi può saperlo con voialtri, Toby?" Nadine Gordimer descrive una società razzista, quella da cui proviene, con sensibilità immune da pregiudizi, rifiutando di appiattire con l'ideologia la sua ricca materia. Con questo splendido romanzo, essa dimostra che i volti del male e dell'arroganza hanno una varietà d'espressione infinita per chi abbia il coraggio di sopportarne l'atroce vista.
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Un bellissimo libro che descrive la dura e assurda realtà dell'apartheid sudafricano ove la convivenza tra la comunità nera e quella bianca si basava su una netta separazione senza nessuna possibilità di contatto, come tra stranieri che si trovano a convivere in uno stesso luogo ma parlano lingue diverse e sono quindi destinati a non comprendersi. La Gordimer con poche parole è sempre riuscita a dipingere distintamente una situazione, un pregiudizio o un personaggio: sembrava di esserci, di aver vissuto a Johannesburg, di sapere come muoversi dagli Alexander, cosa avrebbe detto Anna Louw di un certo fatto e quale preoccupazione inutile e futile avrebbe avuto Cecil. Ma alla Gordimer sarebbero bastate anche queste poche parole per descrivere efficacemente l'assurdità e l'ingiustizia di quella società razzista: Egli non era stato abbastanza cauto da sopravvivere; lo ammiravano per questo. Soltanto mediante l'esercizio costante della cautela nelle parole, nei fatti, e sopratutto nel pensiero, un africano poteva sopravvivere. Ma a lui ripugnava vivere a quel modo; ed era, per loro, un eroe."
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