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Anno edizione: 2018
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"Chiamami sottovoce" di Nicoletta Bortolotti narra le vicende di un bambino 'invisibile'. Una 'storia d'amore e pregiudizio'. Il romanzo prende le mosse dal naturale, triste evento della morte di una madre alla quale il Parkinson aveva annerito "...le cellule cerebrali come le caselle di un cruciverba senza schema..." e dal ritorno di una figlia, Nicole, nei luoghi dell'infanzia. La storia s'inquadra nell'ambito delle migrazioni che i popoli vivono, oggi come allora, per il più naturale dei motivi: la sopravvivenza. Ancora negli anni '70, una legge, frutto di una mentalità meschina, imponeva ai migranti verso la Svizzera di lasciare i figli prima della frontiera; il rispetto di questa regola veniva espletato con solerzia dacché "...un essere umano che deve applicare un regolamento può diventare più disumano di una macchina...". E' un timbro su un pezzo di carta a stabilire se una persona è "indesiderata": un eufemismo per comunicare che te ne devi andare perché sei 'terrone', salvo poi a ritenerti idoneo a romperti la schiena per lavori che altri non vogliono fare. Michele, 'clandestino' a soli nove anni, egli stesso afferma di essere "...del nord...", valorizzando lo stesso pregiudizio che lo tiene segregato; come afferma De Crescenzo, 'si è sempre meridionali di qualcuno'. La contraddittorietà del razzismo non disdegnava che ci fosse "...Il sottofondo di una romanza napoletana trasmessa alla radio al ritmo di un valzer lento...’Na sera ’e maggio...", oppure che, nello scavo della galleria: "...Oggi siamo avanzati di cinque metri e abbiamo festeggiato a taralli e vino portati da un napoletano, sai, quello che prima di lavorare per me girava nelle stazioni vendendo boccette vuote con l’aria del suo paese...". Nicole e Michele s'incontrano in "...un’età sbilenca...", sospesa tra favole e realtà. Michele è ossessionato dal sogno del poliziotto che lo porterà via e, anche se la mamma lo rassicura, la paura lo tormenterà lo stesso. Da adulto avrà la forza di mettersi in discussione nonostante i traumi di un isolamento forzato, portatore di guasti inconsueti per quell'età. Fra una marachella e l'altra i due bambini vivono segretamente la loro storia di armoniche dissonanze per la diversità che li caratterizza; il trauma dell'esclusione dal mondo scava nel profondo dell'anima di Michele, azzerando la sua autostima, mentre Nicole, per converso, gode del 'possesso' di quel amichetto che nessuno potrà portarle via; ciò alimenta un infantile senso di onnipotenza che la induce, fra l'altro, a sfidare le acque gelide di una fonte mentre "...Il tempo, annidato in quell’antro fresco, mi osservava, con la sua faccia di vecchio scorbutico, ma non sapevo niente di lui...". La natura fa il suo corso: "...L’ho guardata. Non riuscivo a distogliere il mio sguardo dal suo, mentre quella canzone dei Beatles mi metteva una voglia di cose irraggiungibili. Cose che non sapevo neanch’io..." Molte sono le domande, spesso senza risposta, che i protagonisti rivolgono a sé stessi, in un'indagine introspettiva che mette a nudo le fragilità e scopre le contraddizioni di cui sono vittime nel racconto dei tempi dell'infanzia e della realtà di adulti, ponendosi, fra l'altro, il limite: "...Ci siamo incontrati in un punto sbagliato della linea del tempo, nelle retrovie dell’adolescenza...". La struttura del volume si dipana in una non facile narrazione su due piani temporali, perfettamente fruibile, in un racconto dai termini raramente dialettali, frutto di radici profonde che legano i personaggi a quelle terre. Il racconto svolto da due voci narranti, viene corredato da una sorta di appendice su un terzo piano temporale; essa ricorda dell'aiuto che i valligiani, pur con tutti i difetti di un razzismo antico, diedero a chi dalla Svizzera coordinava, negli anni '30, le attività partigiane. Fanno da sfondo i genitori: padri impegnati nella sfida alla montagna, quasi che al mondo non ci fosse nulla di più importante; le madri: "...La mamma fingeva impaccio anche quando era convinta di quello che stava dicendo, poiché allora la sicurezza non era cosa per donne e non stava bene ostentarla..."; e l'altra mamma, che dopo essersi spaccata la schiena a servizio, cercava di incoraggiare, come sapeva fare, il suo figliolo; Delia, sposa superstite senza figli, innamorata dei bambini, del suo primo amore e del marito: "...Gli uomini prima o poi ti lasciano. Tutti...", che continuerà a nascondere gli oppressi; la galleria del San Gottardo che mieterà vittime fra quei diseredati che hanno fatto la storia del mondo. Il racconto di un pezzo di storia verosimile, sapientemente narrato con un linguaggio semplice ma forbito, talvolta poetico, da chi conosce le dinamiche infantili e non ignora le conseguenze che esse producono negli adulti, prigionieri di una memoria che si vorrebbe fosse altro da sé, nella finzione che non sia mai esisitita ma che ritorna puntuale nei sogni agitati e nelle scelte quotidiane. L'attualità del tema è, nei fatti di questi giorni, sotto gli occhi di tutti. Sembra che anche noi, da sempre discriminati, non esitiamo ad infliggere le stesse sofferenze che un tempo abbiamo patito. Qualche traccia autobiografica volorizza la drammatica bellezza della storia dall'epilogo imprevedibile. Arrivato alla fine della lettura, un senso di orfanità mi cattura e torno a leggerne qualche pagina elaborando tante altre riflessioni.
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