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Descrizione


In questo saggio chiaro e appassionato, un economista della Bocconi spiega i meccanismi attraverso cui la concorrenza nel mercato dei media lasciata a sé stessa, senza una efficace regolamentazione, spinge verso una progressiva concentrazione. Le ragioni sono diverse e Michele Polo le illustra in maniera comprensibile a tutti, ad esempio mostrando come (soprattutto in televisione) gli investimenti necessari per attrarre quote significative di pubblico (e di pubblicità) siano altissimi: basta pensare ai compensi dei presentatori televisivi più famosi. Oggi in Italia l'informazione passa per la stragrande maggioranza dei cittadini attraverso la televisione. E il mercato televisivo è sostanzialmente in mano a due sole aziende - Rai e Mediaset - che si spartiscono gli spettatori e la torta pubblicitaria. La conseguenza è un peggioramento costante della qualità dell'informazione, ad esempio nel modo di enfatizzare il problema della sicurezza contrariamente a quanto ci dicono le statistiche o nell'omissione delle notizie sgradite ai potenti. Un problema che va affrontato non solo dal punto di vista politico ma anche attraverso una opportuna legislazione antitrust, di cui Polo offre nel saggio i lineamenti essenziali.
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Dettagli

2010
20 maggio 2010
175 p., Brossura
9788842093039

Valutazioni e recensioni

Piergiorgio Stocchi
Recensioni: 5/5

Il tema del pluralismo nell’informazione è da sempre molto discusso in Italia, soprattutto per quanto concerne l’influenza dei mezzi di comunicazione sulle idee e sugli orientamenti politici dei cittadini. Michele Polo, ordinario di Economia politica presso l’Università Bocconi di Milano e redattore del sito di informazione economica lavoce.info – oltre ad essere stato consulente della Direzione Generale della Concorrenza della Commissione Europea dal 2003 al 2006 –, riprende questo argomento approfondendolo e conducendo una discussione basata su dati oggettivi che non lascia spazio a pregiudizi ma che piuttosto spinge i lettori a formare una propria opinione al riguardo. La presenza di differenti sistemi informativi come quotidiani, riviste, canali televisivi, radio, Internet, eccetera non può bastare a provare la tesi che, in Italia, oggi ci sia un ampio pluralismo. Anzi, tutto ciò è messo in discussione innanzitutto da una differente importanza che viene data ai mezzi di comunicazione da parte dei cittadini: un indagine CENSIS del 2009, ripresa da Michele Polo, evidenzia come il telegiornale sia il principale strumento per orientare il voto seguito dai programmi di approfondimento (sempre televisivi) e, al terzo posto, dalla carta stampata. A questo aspetto si aggiunge la particolarità del mercato italiano che vede una prevalenza netta di due gruppi televisivi multicanale, uno dei quali è privato e riconducibile al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi che, grazie al voto popolare, attualmente può controllare anche il secondo gruppo multicanale, quello pubblico della Rai. L’arrivo di operatori pay sul mercato satellitare, in parte ha potuto sanare questo problema anche se permane comunque il rischio che si crei una sorta di forte concentrazione su ciascuna piattaforma, compresa quella del digitale terrestre, attualmente in diffusione. Ma la televisione non è il solo mezzo multimediale ad essere trattato nel libro. I giornali, nonostante la grande quantità di riviste e quotidiani presenti nelle edicole, si riconducono a pochi gruppi editoriali, tra i quali L’Espresso ed Rcs. Una minor concentrazione è rappresentata invece dalle emittenti radiofoniche e da Internet, caratterizzati da costi fissi relativamente limitati. Nel caso delle informazioni via web, addirittura, si teme il pericolo di una sovrabbondanza accompagnato da un ulteriore problema di affidabilità di ciò che viene pubblicato. Il nostro Paese rimane comunque fortemente interessato da una moltitudine di conflitti di interesse tra il mondo politico e l’attività di informazione dei media, quest’ultima appartenente spesso a gruppi con attività economiche diversificate che potrebbero avere l’interesse a politiche editoriali non ostili al governo qualora la regolamentazione di un dato mercato o settore fosse a loro favorevole. L’indipendenza e la libertà di informazione diventano perciò ancora più ardue da perseguire. Michele Polo cerca comunque – con merito – di fornire alcune soluzioni ai problemi riscontrati come il contrasto alle posizioni dominanti (anche se nella televisione e nella carta stampata emergono tendenze strutturali alla concentrazione dovute alla crescita dei costi fissi per i contenuti più richiesti che porteranno, anche in futuro, a raggiungere più difficilmente questo obiettivo) e maggiori vincoli alla proprietà dei mezzi multicanali dove azionisti di imprese che operano in mercati regolati o che beneficiano di politiche pubbliche settoriali non dovrebbero aver la possibilità di partecipare con rilevanti quote azionarie (e non) alla proprietà delle imprese attive nei mercati dei media. Un cenno critico viene rivolto infine anche al contributo statale diretto ai quotidiani che in parte dipende dalla tiratura e non dalla diffusione degli stessi generando così un numero abnorme di copie rese oltre a fenomeni di scarsa trasparenza come possibili sovvenzioni ai partiti politici editori dei giornali; ed, infine, alla Rai, presente nel mercato televisivo – secondo Polo – con un eccessivo numero di canali e con una governance che risente molto del potere politico.

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