A 40 anni dalla legge Basaglia un libro sul manicomio di Girifalco.
Il volume analizza i primi 40 anni di esistenza della struttura nata all’indomani dell’Unità d’Italia quando i manicomi furono considerati luoghi idonei a segregare le persone non presentabili e non in grado di contribuire alla costruzione della nuova società: i folli, i derelitti e i soggetti marginali che non si integravano con i canoni etico-economici della società liberale ottocentesca. Nato in tale contesto politico e sociale, il manicomio di Girifalco, grazie ad una psichiatria condizionata dal positivismo lombrosiano, innervato dalle dottrine della degenerazione e dell'atavismo, e all'influenza delle correnti culturali che spiegavano l'arretratezza del Meridione e dei suoi fenomeni criminali in un quadro di «irreversibile inferiorità biologica e morale» delle popolazioni del Sud, inevitabilmente è diventato, per alcuni, il luogo simbolo della costruzione «scientifica» dell'inferiorità psichica e del carattere criminale di un'intera popolazione.
La ricerca di Greco, condotta sugli atti di archivio e sulle cartelle cliniche di quel periodo, documenta però una realtà più complessa. Quel manicomio di periferia era adeguatamente inserito nella società rurale che lo circondava e riusciva a cogliere le molteplici sfaccettature del disagio mentale di un ambiente economico-sociale povero e premoderno e a introdurre anche pratiche terapeutiche d’avanguardia come l’ergoterapia o la contenzione limitata, favorita anche dalla dimensione contenuta del contesto urbano nel quale era inserita, anticipando così alcune pratiche che divennero il cavallo di battaglia della pratica psichiatrica di Battaglia.
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