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In Tibet l’arrivo del cuculo, il re degli uccelli, annuncia il risveglio della natura. In questo testo il cuculo, sotto le cui penne si cela per l’occasione il Bodhisattva Avalokitesvara, che personifica la compassione, annuncia al popolo alato la possibilità del risveglio alla reale natura della mente, sepolta sotto il coinvolgimento nell’esistenza fenomenica, contratta nel gelo delle bufere emotive e offuscata dalle brume dell’ignoranza. Meditate le sue istruzioni, a turno gli uccelli riuniti in assemblea dichiarano ciò che hanno compreso e fanno udire i loro versi: versi che, se paiono a un primo ascolto inintelligibili, suonano in tibetano come perentorie esortazioni a ricordare gli insegnamenti del Buddha e come ammonimenti di carattere gnomico. L’anno successivo gli uccelli indiani, cui la dottrina è stata inizialmente esposta, migrano a nord e si ritrovano nel Paese delle Nevi, quasi a simboleggiare la successiva diffusione del buddhismo dall’India in Tibet. Tradotta per la prima volta in Occidente nel 1953, questa operetta anonima e di epoca incerta fu subito percepita come una gemma della sapienza buddhista tibetana.
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