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Anno edizione: 2015
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“Ci siamo allevati la serpe in seno”, pare avesse esordito proprio così il Kaiser, commentando le opere “indecenti” di Richard Strauss, già beniamino di corte. Di qui il nome in codice: “Seine Majestät Hofbusenschlange“. E chissà se a quella società civile italiana dell’engagement pre-ideologico dei tardi anni Cinquanta (e primi anni Sessanta), che gridò al tradimento all’apparire dell’introduzione di Zolla ai Mistici dell’Occidente per Garzanti, tornò alla mente il motto di spirito dell’imperatore? Chi – tra quei lettori attenti ma evidentemente vagamente miopi - avrebbe potuto sospettare che il più brillante tra i giovani critici avrebbe di lì a poco “voltato le spalle” […] “cedendo alle seduzioni dell’irrazionale”– secondo le espressioni che si rincorsero nelle redazioni delle migliori riviste culturali del tempo. Sicuramente sarà riecheggiato il titolo emblematico del noto saggio di Julien Benda ( La Trahison des Clercs, 1927), senza rendersi conto che i denunciatori stessi incarnavano l’essenza dell’accusa di Benda: la feroce condanna per il tradimento perpetrato dagli intellettuali di apparato inginocchiati alle dottrine funeste, o semplicemente compiacenti o inerti di fronte allo scorrazzare indisturbato delle camicie di volta in volta brune nere o rosse. Questo lo scenario incandescente in cui si situano gli scritti antesignani di critica sociale, oggi riuniti ne Il Serpente di Bronzo, a cura e con vibrante introduzione di Grazia Marchianò, cui si deve l’acribia e la passione di conoscenza di un’interpretazione finalmente smarcata dall’ovvio e dal preconcetto; cui si deve inoltre la cura dell’opera omnia di Zolla per i tipi della casa editrice Marsilio. E sono qui riuniti i primi saggi, apparsi in allora ciascuno in volume separato con i titoli Eclissi dell’intellettuale, Volgarità e Dolore e Storia del fantasticare: saggi che tanto clamore provocarono sulle terze pagine dei quotidiani e in libreria; ma anche critiche e polemiche e risposte piccate; senza dimenticare il moto di giubilo e di entusiastica adesione da parte delle più fini spiriti del tempo: Piovene e Montale. E appare entusiasmante e sbalorditivo seguire oggi il filo inflessibile di quella logica stingente e argomentativa che si disegna sulle pagine del giovane Zolla: quel " raccogliere i dati" e "disporli nell'ordine opportuno"; e ancora più sbalorditivo è l’effetto alla luce della lettura che a noi è concessa dell’intera opera a seguire di Zolla: una sequela di argomenti forti, scevri dall’asservimento alla parole d’ordine, apparentemente polemici o apocalittici, di fatto risolutori e ratificanti l’avvenuto fallimento delle riflessioni sociologiche francofortesi sull’uomo massa, le derive dell’illuminismo nel ‘900 colmo di sangue e rimozioni. Leggendo l’introduzione di Grazia Marchianò appare evidente e non controvertibile la comprensione della spinta che condusse sempre "oltre" il percorso di Zolla: da Francoforte alla Mistica; attraversando gli orienti del pensiero, sino alla filosofia perenne e alle uscite dal mondo. Ovvero: dove il sentiero appare interrotto perché gli strumenti critici non offrono più mezzi utili ad aprirsi una strada, il superamento avviene con una mossa del cavallo, uno scarto sulla norma, che evidentemente non poteva essere compreso dai contemporanei, dogmatici e integrati. Ed è evidente che non poteva essere compreso dallo stesso Adorno e dai suoi nipotini, contriti nella stretta osservanza al rito della dialettica negativa. Solo Horkheimer, dimenticandosi d'essere un ebreo assimilato e pertanto ricordandosi di essere ebreo, alla fine della sua vita aveva vagheggiato un totalmente altro, un ganz Andere, che però non prescindeva dalla visione dualistica da vecchio idealista marxiano e non marxista. In fondo Adorno ha compiuto, ovvero non ha compiuto lo stesso percorso della dodecafonia: la fuga nella atonalità di Schoenberg con le sue Kompositionen mit 12 Tönen è stato un alto grido di dolore e di protesta avverso le accuse di degenerazione mosse dalle camicie brune; protesta che ha cessato di avere senso dopo il 1945 quando l'avversario è capitolato nel suo bunker al suono delle dolcissime sinfonie di Bruckner... in fondo la dodecafonia del dopoguerra si è ridotta a mero esercizio seriale, settario e meccanico nonché autoreferenziale e pertanto antimusicale: un po' come le pagine e pagine e pagine sulla letteratura e ideologia dei nostri tardi anni sessanta e settanta redatte come musica a manovella dai nostri più impegnati nipotini di Benjamin e Marcuse; nonché da Marcuse stesso cui non parve vero di trasformarsi da fanalino di coda della scuola di Francoforte a guru per masse con il semplice esercizio della Theorie und Praxis. E Adorno, sappiamo, ne morì di rabbia a Zermat nell’agosto del 1969. Ecco perché l’attraversamento di Francoforte verso la Mistica come norma dell’uomo resta epocale. E non sopprimibile
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