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Avevo immense aspettative per questo libro (letto in lingua originale) ma sinceramente ho trovato una storia estremamente interessante calata in un contesto talora banale. La caratterizzazione del personaggio è molto profonda, fin nell'aspetto fisico dovuto alla gravità. Soprattutto si apprezza la descrizione del suo sistema di valori, dovuto al fatto di essere cresciuto su un altro pianeta, in mezzo a esseri assolutamente diversi da noi. La bravura di Heinlein sta proprio nel farci percepire questa abissale distanza e quindi preparare il terreno per lo scontro culturale tra il protagonista e i terrestri. Come ripeto, i personaggi di contorno sono funzionali alla storia e sono meno caratterizzati del protagonista. Imprevisto e imprevedibile il finale.
Per chi conosce Heinlein, alcune caratteristiche di questo romanzo non sorprendono affatto. Mi riferisco, anzitutto, al suo essere in alcuni passaggi un quasi-trattato: come in Starship Troopers, A noi vivi & La fortezza di Farnham, ampio spazio è dedicato a dissertazioni di vario genere, sempre interessanti e sempre ottimamente intrecciate con l’aspetto narrativo vero e proprio, a cominciare dal ritmo dei dialoghi che su tali argomenti vengono intessuti, ritmo che in Heinlein – qui come altrove – difficilmente vediamo calare. L’escamotage dell’umano cresciuto su Marte ha l’evidente scopo di fornire un punto di vista estraneo sull’umanità. Vengono in mente almeno due personaggi di Star Trek, Spock e Data, concepiti anch’essi con una funzione di questo genere. Valentine Michael Smith, l’Uomo di Marte, è portatore di una cultura e di una mentalità radicalmente differenti – aliene, appunto –, talmente straordinarie, rispetto a quelle umane, da influenzare in modo sostanziale anche gli stessi ritmi biologici dei marziani e dello stesso Mike, che attraverso l’apprendimento della lingua e, con essa, della forma mentis marziana ha fatto proprie anche tutta una serie di capacità straordinarie, miracolistiche agli occhi dei terrestri.
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