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Leo, grande regista e sperimentatore della seconda metà del secolo appena trascorso, è da alcuni anni in coma irreversibile vittima di un anestesista sbadato. Sembra una nuova pièce irriverente ed estrema del nostro artista, ma è solo la realtà che rivela la sua irriducibile teatralità. Nato artisticamente nella Roma degli anni ’60, De Berardinis è influenzato dal Living che è molto vicino alle sperimentazioni sulla voce, sui corpi che conduce insieme a Carlo Quartucci e Rino Sudano. Intorno al ‘68 la fruttuosa collaborazione con Perla Peragallo porta alla messa in scena di La faticosa messinscena dell’Amleto di W. Shakespeare e Sir and Lady Macbeth, in cui vi è un totale rifiuto del coinvolgimento del pubblico: si parla di “dialettica violenta” e di autonomia del teatro. Esaurita questa forte spinta polemica, ma senza rinunciare alla sperimentazione, Leo e Perla lasciano l’ambiente delle cantine romane, ormai diventate una moda, per spostarsi a Marigliano che diventa il loro luogo stabile di sperimentazione teatrale. È un ritorno al sud per Leo, campano di origine, che sceglie la via del “decentramento”, una sorta di autoemarginazione produttiva per aprire una nuova fase del suo lavoro. Marigliano, regno della cultura “bassa”, diventa il centro propulsore di un nuovo modo di fare teatro, dissacrante e periferico a fronte di quello centralizzato e d’élite, mescolando Schönberg e la tradizione musicale napoletana, Shakespeare e la sceneggiata. Opere come O’ Zappatore e King Lacreme Lear Napulitane sono totali contaminazioni, work in progress che vengono allestite nelle stalle o che diventano teatro di strada, interpretati da attori non professionisti e soprattutto ai margini del mercato culturale. Da qui parte questo bel volume che racconta la terza vita di questo grande e dimenticato autore.
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