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Anno edizione: 1995
Anno edizione: 2011
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Un'ampia scelta di lettere che fornisce un ritratto inedito della personalità del grande e discusso drammaturgo, permettendo di valutarne l'impegno morale, ma anche l'inevitabile distanza tra gli ideali e i comportamenti, scoprendo meschinità e passioni travolgenti dietro la facciata di un'esistenza senza eventi, che andava tuttavia a sublimarsi in una scrittura rivoluzionaria e tormentata.
«Sono uno che scrive lettere povere», confessa Ibsen a Bjørnson il 16 settembre 1864, e più volte insiste su questa sua inadeguatezza con diversi interlocutori per giustificare la sua laconicità, i suoi ritardi, la sua apparente freddezza, i suoi imperdonabili silenzi. Troppo drammaturgo per liberarsi dall'abitudine di «sopprimere la propria personalità», troppo riservato per vincere la sua incapacità «a entrare in relazione stretta e intima con la gente», Ibsen non si sente a suo agio nel rapporto epistolare. Ma forse proprio per questo, proprio perché sfugge al controllo e alla consapevole rielaborazione dell'artista, la sua corrispondenza finisce per mettere più apertamente a nudo l'uomo, rivelandone la profondità dell'impegno morale, la lucidità nella critica alle ipocrisie e ai meccanismi oppressivi della società, la modernità delle concezioni estetiche destinate a lasciare la loro impronta innovativa su tutto il teatro europeo, ma anche le debolezze, gli egoismi, la falsità e meschinità che spesso si nascondono sotto i giudizi taglienti e gli sfoghi polemici. Più, e forse meglio, di quell'autobiografia iniziata e mai portata a termine, le lettere ci rendono perfettamente partecipi dei grandi dibattiti del tempo, ci illuminano sulla genesi dei suoi personaggi e dei suoi drammi, offrendoci al tempo stesso inconsapevoli scorci su quel «campo di battaglia» che è per Ibsen il suo animo, dove convivono, dice, Brand e Peer Gynt. Dal sofferto debutto ai lunghi anni dell'autoesilio, fino alle intense passioni senili per delicate fanciulle che gli danno la breve illusione di afferrare un po' di quella vita che si è lasciato irrimediabilmente sfuggire, emerge nell'epistolario l'irrisolta contraddittorietà di chi, come scrive in una dedica, sa che «Vivere è guerra con i troll dentro il cuore e il cervello».
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