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Vincitore del Premio Pulitzer 1992
«"Maus" è una storia splendida. Ti prende e non ti lascia piú. Quando due di questi topolini parlano d'amore, ci si commuove, quando soffrono si piange. A poco a poco si entra in questo linguaggio di vecchia famiglia dell'Europa orientale, in questi piccoli discorsi fatti di sofferenze, umorismo, beghe quotidiane, si è presi da un ritmo lento e incantatorio, e quando il libro è finito, si attende il seguito con la disperata nostalgia di essere stati esclusi da un universo magico» – Umberto Eco
«Un sobrio trionfo, semplice e commovente: impossibile descriverlo fino in fondo, un traguardo impensabile da raggiungere con un linguaggio diverso dal fumetto» – Washington Post
«Un'opera straordinaria, per ideazione e realizzazione... insieme romanzo, documentario, memoir e fumetto. Geniale, davvero geniale» – Jules Feiffer
«Uno dei memoir piú potenti e originali pubblicati» – New York Times
Accolto dalla critica come un capolavoro, il primo volume di Maus presentava ai lettori due personaggi: Vladek Spiegelman, un ebreo sopravvissuto all'Europa di Hitler, e suo figlio Art, un fumettista che cerca di scendere a patti con suo padre, con la storia terrificante che il padre ha vissuto e con la Storia stessa. Poiché in questo fumetto l'indicibile è mirabilmente raccontato ritraendo i nazisti come gatti e gli ebrei come topi, il lettore non ha mai la sensazione di conoscere già le vicende narrate. Questo secondo volume, sottotitolato E qui sono cominciati i miei guai, si sposta dalle baracche di Auschwitz ai monti Catskill intrecciando due storie potentissime: la drammatica vicenda della sopravvivenza di Vladek, con il paradosso della vita quotidiana nei campi di sterminio; e la cronaca di quanto sia difficile per l'autore gestire il complesso rapporto con il padre che invecchia. Si tratta in ogni caso di storie di sopravvivenza, anche quando i figli si ritrovano a dover sopravvivere ai sopravvissuti.
Credo siauna delle migliori graphic novels mai scritte, assieme probabilmente all'Eternauta. Questa riedizione comprensiva dei due volumi di Maus è consigliatissima a chi già non possiede versioni precedenti... elegante, di pregevole fattura e dal prezzo onesto, per un'opera assolutamente imprescindibile per chiunque sia amante del genere o per qualsiasi scettico che ancora sottovaluta la potenza espressiva e comunicativa di questo medium
Art Spiegelman è il figlio di Vladek, uomo ebreo sopravvissuto alla Shoah. In questo fumetto, l'autore racconterà proprio la storia di suo padre e della sua incredibile e tragica vita. Quel che rende questa storia unica nel suo genere è la leggerezza con la quale le vicende vengono narrate. Leggerezza che però non solo non banalizza, ma rende l'intera narrazione incredibilmente poetica e fruibile ad ogni tipo di pubblico, giovanissimi inclusi. Riviviamo quindi la storia della Shoah in una nuova luce. I nazisti diventano gatti, mentre gli ebrei sono i topi, i polacchi sono maiali e gli americani i cani. Ma Maus non ci racconta solo questo, ma anche di un rapporto complicato tra padre e figlio, tra sopravvissuto che cerca di riprendere il controllo della propria vita lasciandosi il passato alle spalle come può e chi invece non ha vissuto minimamente questo orrore. Questo fumetto andrebbe fatto leggere nelle scuole, o se non lo si è avuto modo di fare in giovane età è doveroso recuperarlo.
Questa è la storia di Vladek Spiegelman o di 175113, come recitava il suo braccio, uomo ebreo polacco sopravvisuto alla Shoah, perfetta incarnazione dello stereotipo di ebreo avaro fino al midollo. La narrazione fummettistica rende la narrazione più fruibile (anche se non definirei mai questo libro come "libro da una seduta"): la rappresentazione zoofila delle varie etnie è finemente scelta (topi ebrei, gatti tedeschi, cani americani, maiali polacchi) e permette una rapida distinzione tra i personaggi, i disegni in bianco e nero dalle linee spesse e gli sfondi abbozzati trasmettono una perenne sensazione di angoscia, l'alternarsi della narrazione presente permette una visione dei traumi impressi in Vladek e riflessi sul figlio Artie, autore dell'opera. Nota di merito ai risguardi iniziali e finali: trasmettono tutta l'angoscia della narrazione e, visti in sequenza, trasmettono perfettamente la disumanizzazione vissuta degli ebrei all'interno dei campi.
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