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Questa è la storia di Vladek Spiegelman o di 175113, come recitava il suo braccio, uomo ebreo polacco sopravvisuto alla Shoah, perfetta incarnazione dello stereotipo di ebreo avaro fino al midollo. La narrazione fummettistica rende la narrazione più fruibile (anche se non definirei mai questo libro come "libro da una seduta"): la rappresentazione zoofila delle varie etnie è finemente scelta (topi ebrei, gatti tedeschi, cani americani, maiali polacchi) e permette una rapida distinzione tra i personaggi, i disegni in bianco e nero dalle linee spesse e gli sfondi abbozzati trasmettono una perenne sensazione di angoscia, l'alternarsi della narrazione presente permette una visione dei traumi impressi in Vladek e riflessi sul figlio Artie, autore dell'opera. Nota di merito ai risguardi iniziali e finali: trasmettono tutta l'angoscia della narrazione e, visti in sequenza, trasmettono perfettamente la disumanizzazione vissuta degli ebrei all'interno dei campi.
Art Spiegelman vuole ristabilire un rapporto con il padre Vladek, sopravvissuto alla Shoah, perciò decide di ripercorrere insieme a lui questa tragica vicenda. Intrecciando passato e presente, Spiegelman delinea la cruda realtà di quegli anni bui e cerca di comprendere il peso dell'esperienza vissuta dal padre e da milioni di altri perseguitati e prigionieri dei campi nazisti. Con la sua immediatezza e il suo estremo realismo, nonostante le persone siano state rappresentate come animali, Maus è un pugno nello stomaco necessario #pernondimenticare gli orrori perpetrati dai nazisti.
Sicuramente tra i miei preferiti, originale, intenso e commovente.
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