Il mio nome è Che Guevara

Testo scorrevole e scritto in modo spigliato. L'autore scrive più per i cubani che hanno fatto del Che un ideale, di fatto disumanizzandolo, che per lettori , diciamo, più "scafati". Certe informazioni, però, non sono corrette storicamente: viene data per scontata la posizione misogina ed omofoba del Che (due righe appena accennate, in realtà) quando, con buona pace di chi lo crede, il Che non fu nè omofobo (di omosessuali non fa mai nessun cenno nei suoi scritti o discorsi e non c'entrò nulla con le UMAP che furono istituite quando lui non era più a Cuba, nel 1965) nè misogino (parlò, e anche bene, del ruolo delle donne nella rivoluzione). Anche per quanto riguarda la pena di morte inflitta a disertori e batistiani vari, l'autore sembra scoprire l'acqua calda. E' abbastanza ovvia l'esecuzione di traditori e spie in un contesto di guerra, tanto più che si trattava di vere spie e veri traditori, non di poveretti che passavano di lì per caso. L'esecuzione di Eutimio Guerra, poi, viene descritta in modo discordante rispetto alle versioni date dai biografi accreditati del Che (Anderson e Taibo), forse per renderla più patetica. Nel complesso, l'autore non sta ad approfondire molto, ma il suo obiettivo chiaramente non è la critica storica, quanto piuttosto il restituire spessore umano a uomini che hanno fatto la storia di un pezzo di mondo romanzandone la vita. L'intento è apprezzabile e globalmente il risultato è simpaticamente riuscito, ma anche senza voler fare un'opera storica, un po' più di precisione (compresa una bibliografia finale) non guasterebbe.