«Quando l’ingiustizia diventa legge, la resistenza diventa dovere», sosteneva Bertolt Brecht, e non ci potrebbe essere miglior chiosa per "Nina", l’ultimo romanzo di Marisa Fasanella, promettente scrittrice calabrese che ha saputo regalarci, ancora una volta, emozioni e sentimenti forti e genuini. Intendiamoci, Nina non è certo romanzo da feuilleton, tutt’altro. La struttura diegetica, ad esempio, rievoca sapientemente l’arte di Vincenzo Consolo e di Gesualdo Bufalino e il retablo narrativo della Fasanella somiglia a un dittico in cui una delle due tavole è dipinta da un narratore eterodiegetico onnisciente, che ha la funzione di fornire al lettore il quadro, il più obiettivo e scarno possibile, del contesto spazio-temporale e dei personaggi che animano la storia. Siamo nella Calabria cosentina della prima guerra mondiale, una terra di un secolo fa, ancora attuale, segnata da faide e ammazzatine, scavata da povertà e malattie, ingiustizie e rassegnazione, disegnate sui volti e sui corpi smunti, emaciati, dilaniati, di coloni e contadini, sfruttati e sopraffatti da baroni e soldati prepotenti e corrotti, che mirano a difendere ed accrescere i propri privilegi, i primi, e a garantirsi le migliori condizioni di sopravvivenza, i secondi. In questa umanità il narratore, col crivello dell’apparato ideologico che si porta dietro, separa nettamente i buoni dai cattivi: dipinge a tinte chiare e trasparenti personaggi come Sara Mariosa, Ulisse Calvosa, Carmela la dolce e tanti altri, appartenenti alla plebe contadina, mentre tratteggia con colori cupi e tonalità tenebrose nobili, sacerdoti e soldati, come il famigerato Jacopo degli Armenti e i suoi fratelli. Non esistono personaggi di mezzo o in fieri, l’opposizione diametrale tra le parti in campo è totale e totalizzante ed è sociale, oltre e prima che umana. Qui risiede forse l’unico limite del romanzo della Fasanella, che non consta, si badi bene, della facile constatazione di volerlo far apparire come un’opera a tesi di una scrittrice engagé di credo comunista, bensì del fatto che il peso della retorica ideologica prosciuga la linfa vitale di personaggi così integralmente e univocamente buoni (o malvagi) da risultare troppo appiattiti sullo sgraffito delle idealizzazioni astratte. E avviene, per di più, che quelli che, sull’esempio della Conversazione in Sicilia di Vittorini, aspirerebbero ad essere per molti tratti riuscitissimi personaggi mitici o allegorici (come il protagonista maschile, denominato l’Uomo, con epiteto di sapore primordiale), male reagiscano al contatto troppo ravvicinato e diretto con il corso infuocato della praxis storica, irrigidendosi, talvolta, in pose stereotipate. Eppure "Nina" avvince il lettore e, se lo fa, lo si deve alla sua protagonista eponima. La seconda tavola del dittico cui accennavamo, infatti, incornicia il volto, il corpo e il pensiero di una giovane donna che, venduta dalla madre a un matrimonio di convenienza con Jacopo degli Armenti, signorotto criminale del paese, in cambio del possesso di alcune terre, trova la forza e il coraggio di affidare la sua disperazione alla composizione di uno splendido autoritratto narrativo: «”Ninè, leggi. Scrivi, Ninè, che la vita se la scrivi non ti ammazza”» (p. 76), l’aveva istruita la pirandelliana zia Nerina, l’unica sua parente ad avere vissuto, nell’accettazione consapevole del martirio della reclusione forzata in una biblioteca, inflittogli dai parenti, il valore di liberazione, rappresentato dall’istruzione, nei confronti delle proterve costrizioni di una società arretrata, maschilista e feudale. E Nina scrive con sorprendenti e ispirati accenti di lirismo, perché la poesia e l’arte in questo romanzo sanno di donna (un altro personaggio, Sara Mariosa, stende su tela tutto quello che vede e che l’arroganza maschile le ha impedito di poter pronunciare e, ancora, Carmela la dolce, prostituta analfabeta, prima di esalare l’ultimo respiro si fa scoppiare la testa di dolore pur di farsi recitare delle poesie), scrive la sua vicenda, tratteggia su carta le sue sofferenze, i soprusi e le angherie che ha dovuto e deve subire, il suo amore clandestino per l’Uomo, il suo afflato di protezione per la piccola Nora, la figlia che Degli Armenti le ha imposto di concepire, la sua volontà di riscatto. E in questo personaggio affascinante, che incarna al meglio la concezione di letteratura etica di Sartre, riconosciamo il destino e la voce di tante donne di ogni tempo, sfruttate e recluse, reiette e sottomesse, schiacciate da rapporti sociali e umani crudi e meschini. E, come se non bastasse, Nina è anche personaggio letterariamente riuscito: la triste conclusione della sua parabola esistenziale, con il suo rovesciamento simbolico del mito di Diana e Atteone, la consacra a novella eroina di tragedia greca, donna di tempi atavici, straziata da una società senza Dio e senza alcuna possibilità di riscatto femminile, se non nella potente prospettiva narrativa di un’immagine donataci da un moderno Chirone per consolarci un po’, nell’eternità della poesia, della fragilità umana.
Nina
In Calabria, ai tempi della guerra di Libia, un amore adultero detta al cuore di due giovani una legge estranea alla tradizione.
-
Autore:
-
Editore:
-
Edizione:1
-
In commercio dal:28 febbraio 2014
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
-
Fernando Garreffa 28 aprile 2014
Le schede prodotto sono aggiornate in conformità al Regolamento UE 988/2023. Laddove ci fossero taluni dati non disponibili per ragioni indipendenti da Feltrinelli, vi informiamo che stiamo compiendo ogni ragionevole sforzo per inserirli. Vi invitiamo a controllare periodicamente il sito www.lafeltrinelli.it per eventuali novità e aggiornamenti.
Per le vendite di prodotti da terze parti, ciascun venditore si assume la piena e diretta responsabilità per la commercializzazione del prodotto e per la sua conformità al Regolamento UE 988/2023, nonché alle normative nazionali ed europee vigenti.
Per informazioni sulla sicurezza dei prodotti, contattare productsafety@feltrinelli.it