Notturno - Gabriele D'Annunzio - copertina
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Letteratura: Italia
Notturno
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Descrizione


Nel 1916, ferito a un occhio in seguito a un incidente aereo e costretto a indossare un benda che lo condanna a una temporanea cecità, D'Annunzio compone il "Notturno", prima dettando poi vergando con incerta grafia migliaia di cartigli, le «liste sibilline», che saranno raccolte, sistemate e pubblicate nel 1921 in quello che l'autore definirà «il diario della mia sofferenza, un libro di dolore e disperazione», profetico e misterioso. Composto da appunti, meditazioni, ricordi e pervaso da un lirismo che a tratti è delirio, il poema in prosa sembra fondarsi su una sorta di sovrapposizione fantastica e allucinatoria di tre piani temporali: il presente della malattia e della scrittura; il passato recente degli episodi di guerra con la rievocazione dei compagni caduti in volo; il passato remoto dei ricordi d'infanzia, della madre e della terra d'Abruzzo. Pochi ed essenziali sono i motivi attorno a cui si sviluppa la frammentata narrazione: la morte, la guerra, la figura femminile, e soprattutto la cecità, condizione conoscitiva e creativa oltre che fisica che trasforma il poeta in veggente e gli fa dono di una nuova sensibilità cromatica, musicale e tattile. Introduzione di Pietro Gibellini. Prefazione e note di Elena Ledda.

Dettagli

Tascabile
18 luglio 2019
LXIII-448 p., Brossura
9788811608141

Valutazioni e recensioni

  •  Riccardo
    La scossa all'imminenza della fine

    Una tregua forzata è quella del poeta dal primo conflitto mondiale, a causa d'una cecità limitata che lo costringe a letto, allontanandolo dallo scenario bellico, ove finallora si era distinto per gli smacchi, rimasti poi celebri, procurati ai nemici - benché minima l'entità dei danni prodotti con i suoi interventi, oltre che marginale il rischio intrapreso rispetto alla gran parte delle truppe impegnate. Ma a consegnare questa stasi del poeta all'attenzione dei lettori è la redazione, col sostegno della figlia Renata, di un memoriale, ove si ridefinisce, quasi assorto da quella penombra che lo divora, e parla per la prima volta di sé umano, ossia afferente al dolore. Benché questo ancora preda del suo strumentarsi ad una forma e una dizione tipiche e mai disgiunte dall'autore, la dimensione del contenuto e ben diversa dal solito: qui D'Annunzio si rivolge alla sofferenza, finora velata dall'attitudine del super-uomo a cui aveva abituato a lungo i suoi lettori, rimarcando sta volta invece il peso del suo ruolo e la parola "timore" per la vita che intercorre, lasciando di fatto nulla di quell'ulisside per molto elogiato. A mio avviso, una velata capitolazione del superomismo dibattuto a fondo nelle incompiute "Laudi". Anche se - e per concludere le analisi personali - ritengo questa, insieme alla "Guerra latina" e al "Libro segreto", una sorta di prosieguo non ufficiale delle "Laudi", concludendo definitivamente la saga di un viaggio, che porterà l'eroe a riscoprire l'uomo. Profondo e scenico, come ogni opera del poeta, consiglio per il suo connotato atipico da altre opere.

Conosci l'autore

Foto di Gabriele D'Annunzio

Gabriele D'Annunzio

1863, Pescara

Debuttò giovanissimo con la raccolta di versi Primo vere (1879), cui seguì nel 1882 Canto novo, nel quale è evidente l’imitazione di Carducci temperata da una già personale vena sensuale e naturalistica. A Roma, dove iniziò (ma non concluse) gli studi alla facoltà di lettere, D’Annunzio visse all’insegna della mondanità e dell’estetismo, sempre alla ricerca di nuove sensazioni in nome di un compiaciuto erotismo al quale sarebbe rimasto fedele sino alla fine con ossessive varianti. Dal decadentismo europeo assimilava, intanto, ideali di sensibilità e di raffinatezza e il gusto del tecnicismo formale: nacquero così, accanto ad alcune raccolte di versi, romanzi come Il piacere (1889), Giovanni Episcopo (1891)...

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