Una tregua forzata è quella del poeta dal primo conflitto mondiale, a causa d'una cecità limitata che lo costringe a letto, allontanandolo dallo scenario bellico, ove finallora si era distinto per gli smacchi, rimasti poi celebri, procurati ai nemici - benché minima l'entità dei danni prodotti con i suoi interventi, oltre che marginale il rischio intrapreso rispetto alla gran parte delle truppe impegnate. Ma a consegnare questa stasi del poeta all'attenzione dei lettori è la redazione, col sostegno della figlia Renata, di un memoriale, ove si ridefinisce, quasi assorto da quella penombra che lo divora, e parla per la prima volta di sé umano, ossia afferente al dolore. Benché questo ancora preda del suo strumentarsi ad una forma e una dizione tipiche e mai disgiunte dall'autore, la dimensione del contenuto e ben diversa dal solito: qui D'Annunzio si rivolge alla sofferenza, finora velata dall'attitudine del super-uomo a cui aveva abituato a lungo i suoi lettori, rimarcando sta volta invece il peso del suo ruolo e la parola "timore" per la vita che intercorre, lasciando di fatto nulla di quell'ulisside per molto elogiato. A mio avviso, una velata capitolazione del superomismo dibattuto a fondo nelle incompiute "Laudi". Anche se - e per concludere le analisi personali - ritengo questa, insieme alla "Guerra latina" e al "Libro segreto", una sorta di prosieguo non ufficiale delle "Laudi", concludendo definitivamente la saga di un viaggio, che porterà l'eroe a riscoprire l'uomo. Profondo e scenico, come ogni opera del poeta, consiglio per il suo connotato atipico da altre opere.
Notturno
Nel 1916, ferito a un occhio in seguito a un incidente aereo e costretto a indossare un benda che lo condanna a una temporanea cecità, D'Annunzio compone il "Notturno", prima dettando poi vergando con incerta grafia migliaia di cartigli, le «liste sibilline», che saranno raccolte, sistemate e pubblicate nel 1921 in quello che l'autore definirà «il diario della mia sofferenza, un libro di dolore e disperazione», profetico e misterioso. Composto da appunti, meditazioni, ricordi e pervaso da un lirismo che a tratti è delirio, il poema in prosa sembra fondarsi su una sorta di sovrapposizione fantastica e allucinatoria di tre piani temporali: il presente della malattia e della scrittura; il passato recente degli episodi di guerra con la rievocazione dei compagni caduti in volo; il passato remoto dei ricordi d'infanzia, della madre e della terra d'Abruzzo. Pochi ed essenziali sono i motivi attorno a cui si sviluppa la frammentata narrazione: la morte, la guerra, la figura femminile, e soprattutto la cecità, condizione conoscitiva e creativa oltre che fisica che trasforma il poeta in veggente e gli fa dono di una nuova sensibilità cromatica, musicale e tattile. Introduzione di Pietro Gibellini. Prefazione e note di Elena Ledda.
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Autore:
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Edizione:4
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Anno edizione:2019
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Riccardo 07 marzo 2022La scossa all'imminenza della fine
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