Novantanove notti nel Lowgar - Jamil Jan Kochai - copertina
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Novantanove notti nel Lowgar
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Descrizione


Un romanzo di formazione a metà strada fra Le mille e una notte e Le avventure di Huckleberry Finn, che ci aiuta a vedere con gli occhi di un ragazzino afgano la terribile bellezza di quella terra, la complessità delle relazioni umane, la profondità delle tradizioni e della spiritualità. Senza perdere la magica capacità di farci sorridere a ogni pagina.

«Un'avventura ingegnosa e avvincente, a tratti allegorica, nella voce autentica e potente di un ragazzo americano cresciuto all'ombra di antichi cantastorie afgani»

Marwand è un dodicenne di origini afgane cresciuto negli Stati Uniti e in tutto e per tutto simile ai suoi coetanei americani. Ma quando la famiglia lo riporta nella terra degli antenati, di cui non parla la lingua ma a cui si sente indissolubilmente legato, per lui comincia l'avventura. Sulle tracce del cane Budabash, che gli ha morso un dito ed è fuggito nella notte, questo Huckleberry Finn contemporaneo s'imbarca in un viaggio picaresco ed esilarante, pieno di sorprese, pericoli e incontri, fra i vicoli di un villaggio magico e senza tempo ma segnato dalla guerra. Lowgar, Afghanistan: un luogo lontano, di cui forse nessuno conoscerebbe l'esistenza se non fosse il teatro di una guerra che si trascina inesorabile da anni. È quella la terra d'origine del dodicenne Marwand e della sua famiglia, che decide di tornarvi dopo anni dal trasferimento negli Stati Uniti. Per Marwand il ritorno è come una nuova partenza: difficile integrarsi in una terra che quasi non riconosce e di cui non sa piú comprendere né parlare le diverse lingue. Perfino il suo vecchio lupo-cane Budabash sembra averlo dimenticato, e da mite guardiano del compound, un tempo quasi indifferente agli scherzi e alle provocazioni, si è ora trasformato in una creatura sfuggente, impossibile da catturare persino con la macchina fotografica, e feroce al punto da strappargli via un dito con un morso e poi scomparire. E cosí per Marwand e per i suoi giovani zii-cugini inizia l'avventura. Lasciando di nascosto il compound in cui vivono, i ragazzi intraprendono un cammino fra luoghi e personaggi che raccontano con acume e vivacità la vita quotidiana in Afghanistan mentre testimoniano il passaggio lungo della guerra in quel paese. La presenza dell'esercito americano, dei talebani, e dei militari sovietici che li hanno preceduti trapela dall'eco delle bombe che esplodono fra le montagne, dalle voragini lasciate sui muri dei compound, ma soprattutto dai racconti sospesi tra mito e leggenda che ogni abitante della zona sembra custodire come un tesoro prezioso. I quattro ragazzini si perderanno nei vicoli che sono trama e ordito dei loro villaggi, soccomberanno al caldo, alla sete e alla diarrea, sulle tracce sempre piú evanescenti di Budabash, moderno Minotauro in un labirinto di lingue sconosciute oltre che di vicoli e muri d'argilla. Il senso di vertigine che ne deriva ci avvicina al protagonista di questo romanzo di formazione a metà strada fra Le mille e una notte e Le avventure di Huckleberry Finn , e ci aiuta a vedere con i suoi occhi la terribile bellezza di quella terra, la complessità delle relazioni umane, la profondità delle tradizioni e della spiritualità. Senza perdere la magica capacità di farci sorridere a ogni pagina. «Un'avventura ingegnosa e avvincente, a tratti allegorica, nella voce autentica e potente di un ragazzo americano cresciuto all'ombra di antichi cantastorie afgani».

Dettagli

11 febbraio 2020
264 p.
99 nights in Logar
9788806242725

Valutazioni e recensioni

  • FrancescaBookr
    Possiamo farne a meno

    Questi ragazzini che vagano possono risultare affascinanti solo inizialmente, ma il filo dell'interesse si spezza presto. Se decidete di acquistarlo, per le pagine in lingua straniera, ho usato google traduttore con funzione fotocamera.

  • GIULIO VOLPI

    Le avventure picaresche del giovane Marwand nel suo Afghanistan, purtroppo si confondono in un marasma di comparse dal nome impronunciabile, di cui ben presto di perde il filo e la relazione. A peggiorare le cose il testo infarcito di sostantivi mutuati dalla lingua originale che restano incomprensibili per chi non è di origine pashtun o farsi. Così come le sei pagine scritte in alfabeto Pashto che compaiono alla fine del testo, peraltro in un punto dove la narrazione prende una piega allegorica e surreale, per me priva di qualsiasi appeal. Gradevole il costante riferimento alle atmosfere e tradizioni locali; ma solo quello!

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