Davvero carino, scorre una meraviglia e fa sorridere parecchio. Si assapora la Sicilia, nei modi di fare e soprattutto di esprimersi dei personaggi. Proprio carino e delicato stavolta, molto più godibile a mio parere de "Il conto delle minne", che aveva una "piccantezza" che invadeva e pregiudicava in qualche modo il racconto.
Panza e prisenza
Palermo. Un'estate caldissima. E tre poliziotti che più diversi non si potrebbe: il questore Lobianco, severo e forte, Rosario D'Alessandro detto Sasà - amante del cibo e delle donne, affetto da un curioso disturbo della lacrimazione che fa sì che pianga quando si eccita - e Marò Pajno, affascinante e volitiva, relegata in un noioso commissariato di quartiere. I tre sono uniti sin dai primi anni di servizio da un'amicizia più forte di tutto. Tanto che Marò, attratta da entrambi, ha finito per non concedersi a nessuno dei due... Nel medesimo volgere di giorni, Sasà viene incaricato di braccare un boss ricercato da anni e Marò si trova alle prese con un'indagine scottante: chi ha voluto uccidere sulla pubblica piazza uno dei più noti penalisti palermitani? Come se non bastasse, proprio nel momento in cui i due amici avrebbero più bisogno del suo autorevole appoggio, il questore Lobianco sembra preso da altre urgenze. Mentre il caldo avvolge ogni cosa, la barocca festa di Santa Rosalia ricopre le vie della città dei gusci crocchianti dei babbaluci e in riva al mare si levano le preghiere del Ramadan, a Sasà e Marò non resta che ritrovarsi, sera dopo sera, davanti a una tavola imbandita. "Che ti porto?" chiede lui ogni volta, "Panza e prisenza" risponde lei decisa, cioè: solo te stesso e il tuo appetito. Ogni cena una ricetta, preparata da Marò e servita a Sasà in un'atmosfera di speziata ambiguità. Ogni pasto un passo avanti nelle indagini e uno indietro nel gioco di seduzione sempre più pericoloso tra lui e lei, e viceversa... Giuseppina Torregrossa dà forma a un racconto avvolgente, tinto dei colori della sua terra: nerissimo, come il buio che sembra risucchiare inesorabilmente ogni legalità, sin dai gesti più quotidiani, e insieme rosso e profumato come un'arancia succosa. Queste pagine sono un apologo lieve e dolente sull'impossibilità di una giustizia in terra di Sicilia, e al tempo stesso un grande, struggente canto d'amore per quella stessa terra che rinasce ogni giorno dalle proprie ceneri. Come i due protagonisti, che sapranno trovare le risorse per superare una impasse radicale. Perché, in fondo, quel che conta è presentarsi di fronte alla vita con panza e prisenza...
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VALENTINA TAGLIABUE 29 luglio 2012
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