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Anno edizione: 1976
Anno edizione: 2014
La passeggiata (1919) è uno dei testi più perfetti di Walser, il grande scrittore svizzero che ormai, soprattutto dopo la pubblicazione delle sue opere complete, viene posto accanto a Kafka, a Rilke, a Musil – ammesso cioè fra i massimi autori di lingua tedesca del nostro secolo. Ma La passeggiata ha anche un significato peculiare in rapporto a tutta l’opera di Walser: è in certo modo la metafora della sua scrittura nomade, perpetuamente dissociata e abbandonata agli incontri più incongrui, casuali e sorprendenti, come lo è appunto ogni accanito passeggiatore – e tale Walser era –, che abbraccia amorosamente ogni particolare del circostante e insieme lo osserva da una invalicabile distanza, quella del solitario, estraneo a ogni rapporto funzionale col mondo. In un décor di piccola città svizzera, e della campagna che la circonda, il passeggiatore Walser ci guida, con la sua disperata ironia, in un labirinto della mente, abitato da figure disparate, dalle più amabili alle più inquietanti. Da Eichendorff a Mahler, il vagabondaggio è stato un archetipo ricchissimo della più radicale letteratura moderna. Tutta quella grande tradizione sembra condensarsi, quasi clandestinamente, nella Passeggiata di Walser, a cui lo scrittore ci invita col suo irresistibile tono: «Lei non crederà assolutamente possibile che in una placida passeggiata del genere io m’imbatta in giganti, abbia l’onore d’incontrare professori, visiti di passata librai e funzionari di banca, discorra con cantanti e con attrici, pranzi con signore intellettuali, vada per boschi, imposti lettere pericolose e mi azzuffi fieramente con sarti perfidi e ironici. Eppure ciò può avvenire, e io credo che in realtà sia avvenuto».
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Vita che scorre vorticosamente al ritmo di musica di un piano impazzito, note accompagnate dalla bellezza della natura e dei suoi colori, echi di un passato che ritorna a galla per poi fondersi col presente e azzerarsi in esso. La passeggiata di Robert Walser è una dolce melodia che accompagna il lettore in quel viaggio chiamato Vita. Una passeggiata a contatto con la natura, una natura che permette ancora di sentire quel profondo senso di appartenenza al mondo, un mondo dominato sì dal progresso, dalla sete di potere, dal bisogno costante di novità e stupore ma al tempo stesso un mondo che svela a chi sa davvero guardare tutta la bellezza e meraviglia che ancora è in grado di racchiudere. Speranza, illusione, consapevolezza, disillusione, rimpianto, pentimento, si alternano nei passi di Robert Walser e il lettore non può far altro che camminare con lui, ritrovarsi in quei sentieri battuti da quell'umile e singolare scrittore vagabondo e al termine di questa lettura-cammino notare come la sua stessa vita gli sia passata davanti come un flashback. La lettura inevitabilmente termina col pensare a quei fiori raccolti in un campo al termine della passeggiata. Chiedersi se stiano stati raccolti per deporli ormai sulla tomba del rimpianto oppure colti come segno di buon auspicio in vista di un futuro ancora possibile da scrivere. "Effettivamente in passato vagavo nella nebbia e mi dibattevo in mille difficoltà, vedendomi brancolante e spesso in penoso abbandono. Ma io credo che bella sia soltanto la lotta. Non sono le gioie e i piaceri a procurare orgoglio all'uomo dabbene. Orgoglioso e lieto lo fanno solo gli sforzi superati con coraggio nell'intimo dell'anima, le rinunce pazientemente sopportate".
Carino, il tema non è nulla di che ma Walser scrive davvero molto bene. La passeggiata come metafora della vita è un tema letto e riletto ma diciamo che il libro tiene compagnia e lascia pensieri positivi.
Molto bello e molto profondo questo racconto con cui Walser tratta il tema della passeggiata come metafora della vita. Il lettore, cui l’autore si rivolge continuamente per spronarlo a condividere tutte le sensazioni e i pensieri che il viandante prova, viene introdotto non solo in una natura per lo più splendida, in un mondo popolato dei più svariati personaggi ma anche continuamente sollecitato sia a cogliere quanto di bello o idilliaco si possa incontrare ma anche a cogliere gli echi di modelli letterari precedenti. Infatti la scrittura di Walser non è proprio lineare, ma passa da tratti pomposi e un po’ tronfi alla descrizione più minuziosa, il tutto condito con un’ironia ora velata ora decisamente sfacciata. In questa passeggiata l’autore confessa le sue debolezze e i suoi punti di forza ma soprattutto rivela la disperata esigenza di non perdere il suo legame con la natura, la sensibilità di poter ancora cogliere il “bello” e il “sano” non solo nell’ambiente naturale che lo circonda ma anche nelle persone che popolano la nostra vita. Via l’ipocrisia, la vanità, l’avidità! E la passeggiata termina con la sera, le sue ombre, il calare del sole così come termina la vita. E il finale è molto struggente, mesto…: “<< Ho raccolto fiori solo per deporli sulla mia infelicità?>> mi domandai, e il mazzolino mi cadde di mano. M’ero alzato per ritornare a casa : era già tardi, e tutto si era fatto buio”.
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