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Un Brecht più individuale e personale, che si misura con i grandi temi della natura, dell'amore, del tempo nel suo scorrere impietoso.
Io che nulla amo più / dello scontento per le cose mutabili, / così nulla odio più del profondo scontento / per le cose che non possono cambiare.
L'opera poetica di Bertolt Brecht è, in Italia, meno conosciuta di quella del Brecht drammaturgo. Eppure – ebbe a notare un lettore di straordinaria acutezza come Walter Benjamin – si presenta all'interno della lirica del Novecento con caratteri di spiccata originalità. Perché Brecht fu testimone lucidissimo del secolo scorso, e di questo impegno di testimonianza, rafforzato dall'adesione a un marxismo vissuto criticamente e sempre rimesso in discussione, risentono anche le sue poesie. C'è tuttavia un Brecht più intimo e personale – qui presentato da Guido Davico Bonino – che fin dagli anni della gioventù si misura con i grandi temi della vita, e, via via che il suo stile si arricchisce, riesce a trarne accenti di singolare secchezza e incisività, quasi volesse puntare a un'essenzialità propriamente classica.
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