Indice
Le prime frasi del romanzo
1
È difficile parlare con gli alberi. Non siamo dei grandi chiacchieroni.
Sappiamo fare cose straordinarie, cose che probabilmente tu nemmeno ti sogni.
Cullare soffici gufetti. Sostenere fragili capanne tra i rami. Svolgere la fotosintesi.
Ma parlare con le persone non è il nostro forte.
Provaci, a chiedere a un albero di raccontare una barzelletta.
Per la verità, noi alberi parliamo, se sappiamo di poterci fidare. Parliamo con quegli scavezzacollo degli scoiattoli. Con i vermi operosi. Con le farfalle sgargianti e le timide falene.
Gli uccelli sono adorabili. Le rane sono un po' scorbutiche, ma in fondo di buon cuore.
I serpenti? Dei pettegoli tremendi.
Quanto agli alberi, non ne ho mai conosciuto uno che mi stesse antipatico.
Be', uno sì. Il platano giù all'angolo. È una chiacchiera continua, quello là.
Ma ci capita mai di parlare con le persone? Intendo proprio parlare, la facoltà umana per eccellenza?
Bella domanda.
Il fatto è che le persone hanno un rapporto un po' complicato con gli alberi. Un istante ci abbracciano, e l'istante dopo ci trasformano in tavoli e abbassalingua.
Forse ti chiederai perché nelle ore di scienze, quando ti spiegano che "Madre Natura è nostra amica", non sia mai saltato fuori che gli alberi parlano.
Non dare la colpa agli insegnanti: forse non lo sanno nemmeno, che gli alberi possono parlare. La maggior parte delle persone lo ignora.
Tuttavia, se in un giorno particolarmente fortunato capiti accanto a un albero dall'aria particolarmente amichevole, tu prova a rizzare le orecchie.
Gli alberi non sapranno raccontare barzellette, ma di sicuro sanno raccontare storie.
E se l'unica cosa che senti è il mormorio delle foglie, non preoccuparti: la maggior parte degli albero è di indole introversa.
2
A proposito, mi chiamo Rubra.
Forse ci conosciamo. Hai presente la quercia vicino alla scuola elementare, quell'albero grande, ma non troppo? Quello che regala una piacevole ombra in estate e ha un bel colore in autunno?
Sono molto fiera di essere una quercia rossa americana, nota anche con il nome di Quercus rubra. Le querce rosse sono tra gli alberi più comuni del Nord America. Solo nel mio quartiere, siamo centinaia e centinaia a intrecciare le nostre radici nel terreno, come un esercito di tessitrici.
Ho una corteccia rugosa, grigio-rossastra, foglie coriacee dai lobi appuntiti, radici ostinate, incluni a diramarsi e, a mio modesto parere, sono quella che in autunno sfoggia il più bel colore in tutta la via. Il nome Rubra non mi rende neanche lontanamente giustizia. Quando arriva ottobre, sembro andare a fuoco. È un miracolo che ogni autunno i pompieri non cerchino di spegnermi con l'idrante.
Ti sorprenderà sapere che tutte le querce rosse si chiamino Rubra.
D'altra parte, anche tutti gli aceri si chiamano Acero. Tutti i ginepri si chiamano Ginepro e tutti i cactus si chiamano Cactus.
Nel mondo degli alberi è così: non abbiamo bisogno di un nome per distinguerci gli uni dagli altri.
Immagina invece una classe in cui tutti i bambini si chiamano Kevin. Pensa che disastro per la povera maestra quando la mattina cerca di fare l'appello.
Per fortuna gli alberi non vanno a scuola.
Naturalmente ci sono delle eccezioni a questa regola dei nomi. A Los Angeles, per esempio, c'è una palma che insiste per farsi chiamare Karma, ma si sa come sono fatti in California...
3
I miei amici mi chiamano Rubra, e tu puoi fare lo stesso. Ma per molto tempo la gente del quartiere mi ha chiamato "l'albero dei desideri".
L'origine di questo nome risale a un periodo lontano, quando ero poco più che un piccolo seme dalle grandi ambizioni.
È una lunga storia.
Tutti gli anni, il primo giorno di maggio, la gente viene da ogni angolo della città per addobbarmi con biglietti, cartellini, striscioline di tessuto, nastrini e, a volte, anche calzini da ginnastica. Ogni offerta rappresenta un sogno, un desiderio, un'aspirazione. Che le appendano, le lancino o le leghino con un nastro, sono tutti auspici per qualcosa di bello.
Gli alberi dei desideri hanno una storia lunga e gloriosa, che risale ai secoli passati. Ce ne sono molti in Irlanda, di solito biancospini, a volte frassini, ma se ne trovano in tutto il mondo.
La maggior parte delle persone è gentile quando viene a trovarmi. Sembrano capire che un nodo troppo stretto potrebbe impedirmi di crescere come dovrei, non strapazzano le mie foglie nuove, stanno attente alle radici scoperte.
Scrivono il loro desiderio su un brandello di stoffa o un pezzo di carta e poi lo legano a uno dei miei rami. Di solito mormorano piano le loro speranze.
La tradizione vuole che i desideri si esprimano il primo maggio, ma la gente passa a trovarmi tutto l'anno.
Mamma mia, le cose che mi è capitato di sentire!
Vorrei uno skateboard che vola.
Vorrei un mondo senza guerre.
Vorrei una settimana senza nuvole.
Vorrei la barretta al cioccolato più grande del mondo.
Vorrei prendere dieci in geografia.
Vorrei che la signora Gentorini non fosse così scorbutica di mattina.
Vorrei che il mio criceto sapesse parlare.
Vorrei che mio papà guarisse.
Vorrei non avere sempre fame.
Vorrei non sentirmi così solo.
Vorrei sapere che cosa desiderare.
Tantissimi desideri. Ambiziosi e strampalati, egoisti e teneri.
È un onore vedere affidate tutte queste speranze ai miei vecchi rami stanchi.
Anche se, quando arriva la sera del primo maggio, sembra che qualcuno mi abbia rovesciato addosso un enorme bidone della spazzatura.